da www.avvenire.it del 3 agosto 2013
Giustizia, le riforme: proposte e nodi
L’auspicio è arrivato ancora una volta l’altro ieri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Ritengo - ha dichiarato poco dopo la sentenza definitiva di condanna a Silvio Berlusconi - che ora possano aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati» nella relazione dei cosiddetti “saggi”. Di quali problemi si tratta?
Il pianeta Giustizia è un universo popolato di lentezze burocratiche, paradossi e situazioni disperanti, che frenano la crescita del Paese e incidono in negativo sul suo tasso di civiltà. A gennaio, l’aveva ribadito in Parlamento l’allora Guardasigilli Paola Severino, prendendo atto di un sistema elefantiaco, sia civile che penale, oberato di milioni di procedimenti, la cui lentezza costa al Paese 16 miliardi di euro l’anno: una mole enorme di 9 milioni di processi (3,4 nel settore penale e 5,5 in quello civile). Con tempi di chiusura sconcertanti: nel triennio 2010-2012 in media 1.646 giorni (390 in primo grado, 357 in appello, 899 in Cassazione) nel penale; 1.514 giorni per due gradi di giudizio nel civile, senza contare la Cassazione. Così aumenta il rischio di prescrizione: nel 2011 sono “defunti” 128.531 processi prima di arrivare a sentenza, oltre 80mila per decisione del Gip, ancor prima di giungere a dibattimento. Inoltre, per l’eccessiva lentezza l’Italia viene costantemente bacchettata dalla Corte di Strasburgo, titolata a decidere sui ricorsi per violazione dei diritti umani anche in caso di irragionevole durata dei processi. Ancora, i difetti del sistema si riverberano sulla situazione dei circa 200 penitenziari italiani, affollati da oltre 65mila detenuti (a fronte di 47mila posti regolamentari) di cui il 40% in attesa di giudizio e con circa 18mila con problemi di tossicodipendenza.
Problemi gravissimi. Eppure, il terreno delle possibili riforme resta zeppo di mine “ideologiche” che rallentano o bloccano l’iter delle proposte. Una base di partenza resta quella della “bozza” di ipotesi contenuta nella relazione finale dei “saggi” indicati dal capo dello Stato (Mario Mauro, Valerio Onida, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante), che contiene 5 pagine con indicazioni sugli obiettivi (dalla «riduzione dell’ipetrofia del contenzioso», al «rispetto effettivo di tempi ragionevoli di durata» dei processi) e proposte concrete, come quella di «considerare eventuali condotte riparatorie come cause estintive del reato in casi lievi» o rendere «inappellabili le sentenze d’assoluzione» per fatti minori. Lo scopo è alleggerire l’enorme mole di contenzioso e sul punto concordano anche singole proposte di legge dei partiti (Pd e Pdl ma anche altri).
C’è poi il tema della prescrizione: esperti come l’ex procuratore antimafia, ora presidente del Senato, Pietro Grasso, hanno suggerito - anche attraverso le pagine di Avvenire - che essa venga «abolita dopo il rinvio a giudizio, come avviene in altri Paesi, affinché i processi vadano a compimento». Sul piano civile, per contenere la mole di procedimenti intervenendo nella fase che precede il giudizio, il governo ha riproposto l’istituto della mediazione obbligatoria, reintroducendolo nel «Dl del Fare», dopo la bocciatura della Consulta per eccesso di delega. La norma non è ancora legge e le associazioni dell’avvocatura, contrarie, restano in attrito col ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, che si è espressa contro le «grandi lobby» che frenano il Paese. Il Guardasigilli ha messo al lavoro due commissioni di esperti che dovrebbero presentare risultati e proposte «entro settembre-ottobre»: una sulla giustizia civile; un’altra sulla depenalizzazione di reati minori per far calare il contenzioso.
Il terzo ambito riguarda le carceri e richiederebbe la massima urgenza da parte del Parlamento, che nella scorsa legislatura non volle dedicare una corsia preferenziale all’ampliamento della possibilità per i detenuti, di accedere a misure alternative alla detenzione, che potrebbero sfoltire di 15-20mila unità i penitenziari, riportandoli a condizione minime di dignità. Ci sono infine altre possibili riforme, a cui da anni risulta difficile metter mano per via del clima politico incandescente, ad iniziare da quelle sull’uso e sulla divulgabilità delle intercettazioni o quelle che riguardano la magistratura, che investirebbero profili di natura costituzionale e sulle quali centrodestra e centrosinistra di accapigliano senza requie. E mentre il tempo passa, il Paese vive una situazione drammatica in molti settori essenziali per la vita dei cittadini, per le imprese e per la pubblica amministrazione.
Vincenzo R. Spagnolo
© riproduzione riservata
Commenti recenti