www.avvenire.it del 26 marzo 2013
IL TEMA
Il cardinale Bergoglio: «Vale sempre la pena di proteggere la vita»
Vale sempre la pena. «Che cos’è il messaggio della vita? Sono cose molto semplici, sono cose pratiche. Dire che la vita vale sempre la pena significa che dal primo momento che un bimbo o una bambina vengono concepiti sono vivi, lì c’è il soffio di Dio. Significa che i nove mesi di sala d’attesa, nella pancia della madre, bisogna avere cura della mamma e del piccolo perché lì c’è vita…
E quando nasce non finisce tutto con la prima settimana, quando andiamo a salutare la mamma e poi via, che Dio ti aiuti, ma bisogna accompagnare la crescita del bambino perché si sviluppi sano, abbia una buona educazione, non gli manchi mai il cibo, abbia dei principi, dei valori morali e poi venga accompagnato durante tutta l’esistenza. E quando si ammalerà, bisogna accompagnarlo nel suo dolore e nella malattia. Debbono esserci ospedali puliti, belli, dove non manchi nulla. Dove si prendano cura di lui. Questa è vita. Questo è il messaggio della vita».
Il 31 agosto del 2009 il cardinale Bergoglio parla di fronte a migliaia di fedeli, nel santuario di Buenos Aires di San Raimondo Nonnato: religioso mercenario catalano del ‘200, soprannominato “non-nato” perché, secondo la tradizione, venne estratto dal corpo della madre già morta. Venerato come il patrono delle donne incinte, a Buenos Aires viene invocato come protettore dei bimbi non ancora nati. Le argentine in stato interessante portano delle scarpine al santuario e ricevono quelle di chi le ha precedute: una catena d’amore che simboleggia l’attenzione alla maternità e l’impegno a favore della vita. Un messaggio che padre Bergoglio - come ha sempre amato farsi chiamare l’attuale Papa - non si è mai stancato di ripetere. Anche se vi chiameranno «antiquati, bacchettoni o bigotti», disse nel 2007, «vale la pena lottare per la vita: non è mai una perdita di tempo. Il premio è avere un bambino fra le braccia». Le dichiarazioni contro l’aborto e in difesa della vita di ognuno, per piccolo che sia, sono come un filo rosso che accompagna il lavoro pastorale di Bergoglio, di anno in anno. Chi dice no all’aborto può essere attaccato, ma non c’è spazio per i tentennamenti: la missione va portata avanti a costo della vita, senza temere calunnie, tribunali o aggressioni. Perché l’«egoismo della cultura della morte» è come «la gramigna, la cicuta, che poco a poco crescono, invadono e uccidono gli alberi, i frutti, i fiori. Uccidono la vita».
Contro le piante cattive che soffocano i campi, Bergoglio ricorda la positività della «cultura della vita»: «Non deve esserci un solo ragazzino che non abbia il diritto di nascere, che non abbia il diritto di essere bene alimentato, che non abbia il diritto di andare a scuola. Non deve esserci un solo anziano abbandonato, solo», disse nel 2005 di fronte a migliaia di argentine in dolce attesa. Il riferimento alla tappa finale della vita, sempre e comunque sacra, è un elemento frequente, che l’arcivescovo nelle sue omelie ha legato spesso al concepimento. Quando il bambino «sarà ormai un vecchietto, bisogna assisterlo con molto amore. I nonni sono la saggezza della vita» e tutto «questo è cultura della vita».
È necessario un impegno continuo, faticoso: è innegabile. Il futuro Papa ricorre ad un aneddoto di vita quotidiana, vicino alla gente comune: «La vita è bella, ma la vita è una fatica. Sempre. L’altro giorno un papà, che ha avuto la prima figlia, mi diceva che sia lui sia sua moglie dormono due ore a notte, perché la creatura piange molto… La vita è bella, ma è faticosa perché mi richiede sacrificio. Quando vediamo queste donne e questi uomini che hanno i genitori moribondi ormai e trascorrono le notti prendendoli per mano, perché sentano l’affetto, e il giorno dopo vanno a lavorare e poi tornano lì… faticosa, ma questa è vita. Non si può camminare verso l’annuncio della vita, della cultura della vita, se non come abbiamo detto nel Salmo: in presenza del Signore».
I messaggi continuano, finché la Conferenza episcopale argentina convoca l’Anno della vita: è il 2011. «L’aborto non è mai una soluzione», sottolinea il cardinale nel giorno in cui si festeggia il bimbo non ancora nato. «È urgente dare priorità nella nostra patria al diritto alla vita in tutte le sue manifestazioni, dando una speciale attenzione ai bambini non ancora nati, così come ai nostri fratelli che crescono nella povertà e nella marginalità», dichiara la Conferenza episcopale. Sono mesi di tensione. In Argentina fremono le associazioni e le cordate politiche favorevoli alla depenalizzazione dell’aborto. Nel 2012 il Parlamento della città di Buenos Aires tenta lo “strappo” e approva una legge sui cosiddetti aborti non punibili, ma poi il sindaco la blocca con un veto. In un tira e molla giuridico e politico, fra ipotesi e strumentalizzazioni, per settimane si parla di aborti legali o meno, dopo una sentenza della Corte Suprema riferita al caso specifico di una donna violentata. Nel paese sudamericano l’interruzione volontaria della gravidanza è un reato, ma il Codice Penale prevede due eccezioni, una delle quali riguarda il concepimento frutto di violenza sessuale. Bergoglio non si stanca di ripetere: «L’aborto non è mai la soluzione. Dobbiamo ascoltare, accompagnare, comprendere» con il «fine di salvare le due vite».
Senza cadere nell’errore. «Ancora una volta - dice a proposito dei tentativi di legalizzazione parziale - si procede deliberatamente verso la limitazione ed eliminazione del valore supremo della vita, ignorando i diritti dei bambini che devono nascere”. Ma la sua non è una mera risposta al dibattito in corso. Ben prima, nel 2007, aveva avvertito: «Coloro che pensano di essere padroni della vita, non possono convivere nella società». Qui «siamo tutti invitati alla vita» e l’unico padrone di casa è Dio. «Custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore»: nelle parole pronunciate martedì mattina, a San Pietro, c’è l’eco dell’insegnamento di vita portato avanti per anni nella sua Buenos Aires.
Michela Coricelli
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