Pubblicati in italiano due discorsi alla Diocesi di Buenos Ayres tenuti nel 2005 dal Cardinale Bergoglio
Vengono presentati martedì 26 a Roma, nella sede della “Civiltà Cattolica” i primi due libri in italiano di Jorge Mario Bergoglio. Si tratta dei volumi della Editrice Missionaria Italiana (Emi): Umiltà, la strada verso Dio (Bologna, 2013, pagine 64, euro 6,90, con postafazione di Enzo Bianchi) e Guarire dalla corruzione (Bologna 2013, pagine 64, euro 6,90, con postfazione di Pietro Grasso) che raccolgono discorsi che il cardinale arcivescovo di Buenos Aires pronunciò nel 2005 alla diocesi riunita in assemblea.
Entrambi attingono alla spiritualità di sant’Ignazio di Loyola per descrivere i meccanismi profondi e offrire vie di soluzione a fenomeni di estrema attualità quali la corruzione, nella società e nella Chiesa, e l’urgenza di una vita ecclesiale improntata alla carità fraterna. All’incontro, moderato dal direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro, intervengono la storica Lucetta Scaraffia, don Luigi Ciotti e il direttore della Emi, Lorenzo Fazzini.
Affermava Bergoglio: “Non è raro incontrare - nelle comunità religiose, siano esse locali o provinciali - fazioni che lottano per imporre l’egemonia del proprio pensiero e delle proprie preferenze. Questo accade quando l’apertura caritatevole al prossimo viene sostituita dalle idee di ciascuno. Non si difende più il tutto della famiglia, ma la parte che mi tocca. Non si aderisce più all’unità che va a configurare il corpo di Cristo, ma al conflitto che divide, rende parziali, debilita.
Per i formatori e superiori non risulta sempre agevole educare all’appartenenza allo spirito di famiglia, soprattutto quando è necessario plasmare atteggiamenti interiori, anche piccoli, ma che hanno le loro ripercussioni a questo livello del corpo istituzionale. Uno degli atteggiamenti validi che devono prendere corpo nel cuore dei giovani religiosi è quello di “accusare se stessi”, poiché è nella carenza di questa pratica che si radicano lo spirito di parte e le divisioni. Occorre in primo luogo mettere al bando ogni riferimento anche inconsapevole o qualsivoglia atteggiamento farisaico che presenti l’accusare se stessi come qualcosa di puerile o di tipico dei pusillanimi.
Autoaccusarsi suppone piuttosto un coraggio non comune per aprire la porta a realtà sconosciute e per lasciare che gli altri vedano oltre la mia apparenza. Significa rinunciare a tutti i maquillage di noi stessi perché si manifesti la verità.
Accusare se stessi (che è solo un mezzo) è la base in cui getta le radici l’opzione fondamentale per l’anti-individualismo, per lo spirito di famiglia e di Chiesa che ci porta a relazionarci come buoni figli e buoni fratelli, per poi arrivare a essere buoni padri. Accusare se stessi presuppone un atteggiamento fondamentalmente comunitario”.
(©L’Osservatore Romano 25-26 marzo 2013)
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