In occasione della 35^ Giornata per la Vita il Centro di Accoglienza alla Vita di Castelnuovo Scrivia (qui a fianco la chiesa parrocchiale) ha organizzato per sabato 2 febbraio alle ore 21.00 una conferenza con la testimonianza di Flora Gualdani sul tema: “Casa Betlemme e l’accoglienza della vita. Una esperienza lunga mezzo secolo”. Domenica 3 febbraio alle ore 15.00 vi è stato poi l’intervento di alcuni sposi di Casa Betlemme dal titolo: “Sull’amore incarnato”, immagini, canzoni e riflessioni fra bioetica cristiana, teologia del corpo e procreazione responsabile.
Riportiamo qui di seguito quanto pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 3 febbraio 2013 in merito a Flora Gualdani fondatrice di Casa Betlemme in Arezzo.
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Maternità senza frontiere
Intervista a Flora Gualdani, fondatrice di Casa Betlemme, luogo di accoglienza, formazione e preghiera
Incontro Flora Gualdani a Casa Betlemme. Un gruppo di casette in un parco fuori Arezzo che Flora ha fatto costruire e dove sono ospitate le donne e i bambini in difficoltà a cui viene data una prima assistenza. Ma oggi Casa Betlemme non è solo un luogo di cura delle maternità difficili ma anche di formazione. Proprio da Flora Gualdani, che ha fatto per anni l’ostetrica, che ha girato per il mondo per capire meglio la maternità e la vita nascente, che ha conosciuto gli ospedali e le missioni, è iniziata un’opera di formazione, un’intensa attività divulgativa sul valore della vita, sulla procreazione responsabile, sulla bioetica. Attorno a lei si è costituito un gruppo di collaboratori che la affianca e la accompagna nella sua opera. Senza aiuti, in una povertà di cui è orgogliosa, puntando solo sui volontari va avanti giorno per giorno in quello che lei chiama “santuario della vita”.
Ci racconti come iniziò decenni fa la sua opera per la maternità e la vita.
Facevo l’ostetrica e giravo il mondo. Ho vissuto il passaggio dall’ostetricia antica a quella moderna. Quando iniziai, le donne partorivano in casolari di campagna dove mancava acqua corrente, telefono, a volte l’elettricità. Non esistevano ecografo e ambulanza.
Come nacque l’idea di Casa Betlemme?
Fui turbata incontrando donne volate all’estero per abortire. Nel 1964, nella grotta di Betlemme, un’intuizione mi travolse. Rientrata in Italia, trovai in ospedale una malata di cancro decisa a non abortire. Le stetti vicino, nacque una bimba bella che tenni con me finché la madre coraggiosa guarì. Pensavo la cosa finisse lì invece Dio aveva un progetto. Quel bimbo fu il primo di una lunga serie. Poi arrivarono le ragazze madri. La casa divenne stretta, chiesi a mio padre la divisione dell’eredità: un ettaro di terra dove ho costruito casette per accogliere mamme e bambini. In questo santuario della vita ho speso tutto, con gioia.
E oggi quali sono i fini dell’opera?
Trasmettere il vangelo della vita testimoniando armonia tra azione e contemplazione. Servire le maternità difficili e divulgare la bioetica del Magistero: coniughiamo la carità con lo «splendore della verità», offrendo formazione. La Regola è Ora, stude et labora, centrata sulla contemplazione del mistero dell’Incarnazione e l’esaltazione della maternità di Maria.
Immagino abbia incontrato difficoltà. Quali?
Le tribolazioni di una giovane laica che inizia da sola. E rinuncia ai finanziamenti pubblici. La scelta della povertà è follia ma educa alla preghiera di abbandono. Se il latore non è un povero, il “Mandante” non è il protagonista: ho imparato che stai in piedi soltanto se resti in ginocchio.
Oggi le donne sono aiutate o ostacolate dalla società nel loro desiderio di maternità?
La nostra società ha paura della vita. Anni fa scrissi che solo pazzi e poveri generano. Sono loro i maestri.
Se — come penso — oggi la società non aiuta la maternità, di chi sono le responsabilità?
Delle scarse politiche familiari. Dell’indifferenza morale e di distorsioni: il generare divenuto opzione tecnoesaudibile. Mi preoccupa la pressione sulle diagnosi, l’eugenismo che arriva dalla Francia dove non nascono più bimbi down. Ho incontrato omissioni non solo nelle corsie ma purtroppo anche nelle sacrestie: la paura di essere impopolari fa gravi danni ed è frutto di un calo della fede.
Quali rimedi lei, che della battaglia per la maternità e la vita ha fatto il suo obiettivo, suggerisce?
Mentre aiutavo le partorienti in mezzo alle guerre e ai diseredati, confrontavo come è trattata la maternità nei vari contesti geografici e culturali. Ho visto i poveri più capaci di accoglienza. La donna occidentale deve recuperare il valore bello della maternità, elemento costitutivo della sua natura. È nella maternità, fisica o spirituale, che lei si realizza pienamente. Ogni donna deve imparare a gioire di sentirsi femmina, madre e sposa: anche la suora, per essere capace di tenerezza e oblazione. La maternità è gioia mediante travaglio, in un cammino fecondo d’amore. Solo la donna può raggiungere certe vette di donazione, è lei che ha l’intuito materno per capire in anticipo i bisogni, come Maria a Cana. È sua la resistenza ai travagli più duri. Alla donna sono date le chiavi della vita, nella ciclicità della fertilità: è questa l’altra sapienza da recuperare, con i metodi naturali. La Chiesa l’ha capito in anticipo.
Sappiamo che le donne italiane ricorrono sempre meno all’interruzione di gravidanza, ma che questa è diffusa fra le straniere. Quali sono oggi le cause che inducono all’aborto?
Premetto che andrebbero conteggiati anche i microaborti farmacologici, altrimenti vediamo solo la punta dell’iceberg. L’ambulatorio ostetrico è un confessionale speciale, e dopo mezzo secolo so che la donna è indotta all’aborto non tanto da motivi economici quanto dalla paura di sentirsi sola.
In che modo si può aiutare una donna che vuole un figlio o lo aspetta e non può permetterselo per motivi economici?
Bisogna che la donna si senta amata, preziosa per quel suo stato “interessante” per la società intera: davanti a una gestante dobbiamo genufletterci riconoscenti per il valore di quel dono. Condivisione della sofferenza, dedizione personale, tempestività nell’aiuto concreto: è il nostro stile, reso efficace dalla preghiera. Ha salvato centinaia di bambini, restituendo ad altrettante donne la libertà di non abortire. Sono passate da qui le storie più drammatiche, e nessuna è tornata pentita di aver accolto la vita: né l’undicenne incinta, né la prostituta, né la vittima di violenza.
La cultura della vita: lei crede che viviamo in un mondo in cui scarseggia. Come si combatte questa povertà culturale?
Educazione ai valori e alfabetizzazione bioetica. A Casa Betlemme facciamo consulenze, laboratori e corsi per formare formatori. In giro per l’Italia siamo impegnati da anni in un apostolato itinerante, anche con linguaggio artistico. La gente resta affascinata perché il carisma betlemita dell’armonia riconcilia fede e scienza, la creatura con il Creatore. Le donne che portano il trauma dell’aborto le aiuto a riconciliarsi con il loro bambino: le accompagno alla guarigione usando lo sguardo della trascendenza. È Gesù l’unico farmaco capace di curare quella ferita: Lui ama.
Cosa intende per carisma betlemita dell’armonia?
Casa Betlemme vuol essere una piccola università dell’amore. Le mie lezioni parlano dei due altari che esistono sulla terra: uno è il letto nuziale. Insegno la sacralità della vita ma anche del gesto che la consente. Spiego una scienza incarnata combattendo materialismo e angelismo: perché Dio non ci ha dato le ali ma i genitali.
Si è sentita sostenuta da Giovanni Paolo II. In che modo il Pontefice l’ha aiutata?
La sua teologia del corpo ha rafforzato la mia fede, aiutandomi ad affrontare il martirio delle idee e del cuore. Ma ho venerazione anche per Paolo VI che ha indicato i binari della nostra missione: disse che il Natale è la vera ragione della felicità, decise l’esaltazione della maternità di Maria al 1° gennaio, ebbe il coraggio di firmare l’Humanae vitae, arrivando a «spiacere a tutti per non mentire a nessuno».
Si affida nella sua opera a Francesco di Assisi, Caterina da Siena e Teresa di Lisieux. Perché questa scelta?
Sono i miei amici giganti. Francesco per la letizia della povertà, Caterina per il fuoco apostolico, Teresina per la grandezza dell’infanzia spirituale. Un mix che ha dato la linea spirituale a Casa Betlemme: preghiera, sacrificio, letizia.
Partendo dalla sua esperienza che cosa chiede oggi alla Chiesa?
A certe correnti chiederei di riscoprire l’autentica teologia dell’Incarnazione, tornando alla povera grotta di Betlemme. E credere sempre nell’educabilità dell’uomo redento da Cristo, come ripeteva Giovanni Paolo II. Il messaggio dell’Humanae vitae è capace cioè di farsi prassi tra la gente: la nostra scuola ne è testimonianza. Oggi siamo una fraternità crescente di famiglie e singoli che, appassionandosi, si consacrano in questo moderno apostolato. Laici che vivono del proprio lavoro.
Lei è una donna che alla Chiesa ha dato molto. Quale può essere oggi il ruolo delle donne nella Chiesa?
Giovanni Paolo II parla del genio femminile e di un nuovo femminismo: voi donne — spiegò — avete il compito di essere «sentinelle dell’invisibile». Tornando dal Vaticano II il mio vescovo mi ordinò di tenere l’Eucaristia a Casa Betlemme, dicendo: «Finché vivrai, ovunque sarai, deve esserci l’Eucaristia». Un noto ginecologo sostiene che la nostra è una religione «incomprensibilmente ostile alle donne»: in realtà il Salvatore, sia nel venire in terra che nella sua partenza, ha scelto una donna. Il Verbo infatti ha preso carne dall’utero di una ragazza: una vergine che dette uno stupendo consenso informato. E poi ha chiesto a un’altra donna di annunciarlo risorto: una prostituta cui Lui aveva già fatto fare, nella sua carne ferita, esperienza di risurrezione.
Nata ad Arezzo nel 1938, Flora Gualdani è ostetrica dal 1959. Ha lavorato fino agli anni Novanta nella sanità pubblica, con esperienze personali all’estero. Nel 1964 ha fondato Casa Betlemme, ospitando decine di ragazze madri da ogni parte del mondo. Luogo di preghiera, casa d’accoglienza, centro di formazione su teologia del corpo e procreazione responsabile, la sua iniziativa è diventata oggetto di tesi di laurea e dal 2005 è associazione pubblica di fedeli. Il primo libro lo ha pubblicato con lo pseudonimo Letizia di Gesù Bambino.
Ritanna Armeni
2 febbraio 2013
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