Riceviamo il seguente articolo che volentieri pubblichiamo.
Voghera, 10/1/2013
Urbanistica e territorio
Secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento, ottobre 2011, Voghera ha una popolazione di trentottomila centosettantaquattro abitanti, più o meno gli stessi di dieci anni fa, una decina in meno ad essere sinceri.
Ciò nonostante in pieno periodo natalizio il Consiglio Comunale ha approvato il piano di Governo del Territorio, “basato” su di una città di quasi sessantamila abitanti.
Questo anche dopo le osservazioni pervenute dalla Amministrazione regionale e da quella provinciale nelle quali si diceva che ” il documento presentato risultava sovradimensionato rispetto alle prospettive di crescita della popolazione in considerazione della tendenza verificatasi negli ultimi anni”.
Riportato in Consiglio il documento urbanistico pur dicendo di reperire le osservazioni presentate dalle due amministrazioni veniva comunque approvato con piccole modifiche rispetto alla stesura originale.
E’ stata dimezzata l’area industriale prevista a fianco della centrale termoelettrica e bloccata la trasformazione di alcune aree vicine allo Staffora, per il resto l’impianto base del PGT è rimasto inalterato rispetto alla prima stesura approvata nel mese di luglio.
Eppure bastava leggere attentamente la delibera dell’amministrazione provinciale per accorgersi che il documento mal si confaceva alle esigenze della realtà cittadina ed al piano regionale.
“Con riferimento- si legge nella delibera- al Piano Territoriale Regionale- che si pone come obiettivo il contenimento del consumo del suolo e considerando che le previsioni del Piano regolatore vigente sono inattuate, a tal fine si presenta la necessita di rivedere tali valutazioni al momento dell’approvazione definitiva del Piano di governo del territorio, anche in considerazione della verifica quinquennale del documento, trascorso tale termine le previsioni di piano decadono. Si richiede inoltre al Comune di fissare i criteri su come raggiungere la crescita insediativa massima del trenta per cento fissata negli elaborati ed in tale quota dovrebbero privilegiarsi gli interventi tesi al recupero edilizio di volumi già esistenti ed al recupero di aree dismesse.”
In pratica una sonora bocciatura e la critica principale è rivolta all’eccessivo consumo di suolo e alle fantasiose previsioni di crescita demografica della città. Da questo emerge che tutte le proposte avanzate nel PGT sono in contraddizione con la realtà e potenzialmente dannose per il territorio. Si consiglia infatti,di utilizzare le ristrutturazioni quale forma prioritaria di trasformazione del territorio, limitare il consumo di suolo, salvaguardare il suolo agricolo, coordinare a livello l’insediamento di nuove aree industriali e commerciali.
Tutto o quasi caduto nel nulla.
D’altro canto il punto d’arrivo non poteva che essere questo visto che tre anni fa, al momento della prima stesura del documento urbanistico erano giunte richieste tali da ottenere oltre cinquecentottantamila metri quadri di nuove aree “impegnate”, questo nonostante che da una verifica effettuata ad agosto del 2007,come si legge dagli indirizzi per il PGT, risultavano notevoli superfici residue, ovvero destinate ma non ancora utilizzate e più precisamente oltre un milione di metri quadrati con destinazione residenziale, trecentoventi mila metri quadri destinati ad attività produttive e quattrocento settantotto mila per le attività commerciali.
Tanto basta per comprendere quale fosse l’interesse verso il nuovo Piano di governo del territorio, interessi legittimi, ma che nel lungo periodo finiscono con lo scontrarsi con gli interessi generali della collettività
Detto questo balza subito al’occhio come certe scelte urbanistiche siano state prese non tanto per garantire sviluppo alla città, o per seguirne le esigenze, ma dietro la spinta di interessi che poco hanno a che vedere con la crescita organica della città.
E’ indubbio che in un periodo di crescita speculativa dell’edilizia, la cosiddetta bolla, si sia creata una spirale perversa di interessi, che ha coinvolto: proprietari di terrene, desiderosi di ottenere succose plusvalenze, costruttori, in cerca di nuove aree edificabili ed amministrazione pubbliche per le quali nuove lottizzazioni portano nelle casse maggiori oneri di urbanizzazioni ed imposte locali.
In questo contesto non serve essere acuti osservatori per capire che la politica nel corso degli anni è stata debole nel difendere gli interessi della collettività. Non importa la colorazione politica delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo, quanto sta sotto gli occhi di tutti, ed è più evidente nei momenti di crisi, è che si sono le sbagliate le scelte punto.
Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che ci troviamo di fronte ad una città urbanisticamente sbilanciata, e qualche tecnico a denti strette lo riconosce, cui ad un centro storico praticamente spopolato e caratterizzato da edifici sia pubblici che privati bisognosi di riqualificazione, fanno da contraltare le zone sud ed ovest dove sono insediati due terzi degli abitanti vogheresi e la zona est in cui si è sviluppata una smisurata area commerciale caratterizzata da insediamenti di medie e grandi dimensioni.
Da queste considerazioni partivano i rilievi mossi sia dalla amministrazione regionale che da quella provinciale, che purtroppo non sono stati recepiti.
Non rientrano nel nuovo Piano di Governo del Territorio, le modifiche apportate al cosiddetto “Parco Baratta”, ma costituiscono un esempio lampante sul modo di concepire lo sviluppo urbanistico e tutela del territorio.
Si tratta di un’area di oltre quattrocentomila metri quadrati, destinata all’agricoltura che era stata però vincolata da precedenti Piani regolatori a verde pubblico, in pratica una superficie che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto acquisire per qualificarla a polmone verde della città.
Curiosamente si è iniziato a parlare di Parco Baratta, nel momento in cui è parso chiaro che nessuna amministrazione sarebbe stata in grado di assumersi i costi inerenti questa realizzazione.
Tempo fa viste le difficoltà l’allora giunta di centro sinistra decise di consentire ai proprietari di trasformare il venticinque per cento della superficie in area residenziale in cambio della cessione della rimanente parte all’amministrazione comunale.
Una decisione che aveva un fondamento logico, l’amministrazione non avendo i fondi per pagare l’esproprio concesse in pratica una sopravvalutazione di parte dell’area, grazie alla modifica di destinazione d’uso, per compensare i proprietari, ma che a lungo andare ha aperto le porte a nuove modifiche e se vogliamo alla speculazione.
Una variante successiva, quella definitiva, giunta a termine a marzo nel 2011 con l’approvazione del piano di coordinamento, ha portato la quota di superficie edificabile al cinquanta per cento riducendo in tal modo la quota da cedere all’amministrazione comunale.
Addio dunque al parco e spazio a nuove costruzioni con in mezzo un po’ di aree verdi, spazi attrezzati, strade parcheggi, aree di servizio ed una nuova caserma per le forze dell’ordine.
Il piano prevede la costruzione di mille appartamenti, la superficie edificabile ha un indice di o,6 metri cubi per metro quadrato e gli edifici che sorgeranno dovranno avere un’altezza massima di dodici metri e cinquanta equivalenti a quattro piani abitabili fuori terra, il tutto su di un’area di oltre duecentomila metri quadri.
Il rimanente, ceduto all’amministrazione pubblica, sarà occupato da aree di servizio pubblico, strade e parcheggi ed anche da edificio di pubblico interesse.
Da qui si deduce che di spazio per il verde pubblico ne rimarrà ben poco, chi ha provato a quantificarlo sostiene che tale superficie non dovrebbe superare i centomila metri quadri, meno di un quarto del totale dell’area.
Questo è quanto previsto sulla carta, ma la crisi immobiliare potrebbe rimettere tutto in discussione, ed obbligare finalmente la politica ad occuparsi in modo concreto e senza dover subire passivamente le pressioni, del futuro urbanistico della città.
Non è da escludere che negli anni a venire, si debba pensare ad un grande piano di riconversione del territorio, operazione che potrebbe portare in alcuni casi ,in zone periferiche urbanizzate negli anni sessanta e settanta, a riportare a “verde” aree occupate da edifici abbandonati.
Una riqualificazione che comporterà alti costi che finiranno per ricadere sulla collettività, una ipotesi sulla quale occorre riflettere fin d’ora.
Paolo
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