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20130106-magi-epifaniada L’Osservatore Romano del 6 gennaio 2013

 Oggi è apparsa la luce inaccessibile

 

 

La festa dell’Epifania in tutte le tradizioni orientali è incentrata su due punti fondamentali. Il primo è la dimensione battesimale con la santificazione delle acque del Giordano per la discesa in esse di Cristo e delle acque battesimali per la venuta dello Spirito Santo invocato su di esse nel giorno dell’Epifania e ogni volta che si amministra il battesimo. Il secondo punto è l’incarnazione del Verbo di Dio, manifestatasi nella venuta di Cristo come vero uomo.
Il battesimo di Cristo e come conseguenza il battesimo dei cristiani è dono di illuminazione per coloro che lo ricevono. La presenza del salmo 26 all’ora di prima dell’ufficiatura della vigilia (”il Signore è mia illuminazione e mio salvatore”) e diversi tropari della festa sottolineano appunto il battesimo come nuova creazione, dono di luce e di vita nuova: “Si è manifestato oggi il salvatore, la grazia, la verità, tra i flutti del Giordano, e ha illuminato quanti dormivano nelle tenebre e nell’ombra: perché è venuta, è apparsa la luce inaccessibile”. 

 di Manuel Nin

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Ardenti di luce

Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d’improvviso si affacciano, per subito allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenienza e l’identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelligente guida e compagna nel cammino. E, ancora, desidereremmo conoscere la natura e il senso di quei doni estratti dagli scrigni.
“Ma l’evangelista - chiosa Inos Biffi - non si sogna affatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta”. Egli intende illustrarci un messaggio: quando nasce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo. Predicava san Bernardo: «Guardate e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce sospeso a una croce e morente. Il ladrone lo confessa sul patibolo, i Magi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l’umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandalizza la presenza di una povera madre, né l’infanzia di un bambino che succhia il latte?». C’è sempre sproporzione tra quello che la fede immediatamente vede e quello che, confidentemente, crede. E la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente convivere con la passione. Teresa di Lisieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cielo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell’ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella»
Dei Magi non conosciamo in realtà neanche il numero; Matteo, riferendo l’episodio dell’adorazione ricorda soltanto che «alcuni Magi giunsero da Oriente» (2, 1) senza specificarne il numero. Il fatto che nell’iconografia tradizionale e nella letteratura più tarda, essi propongano un numero ternario dipende presumibilmente dai doni che recarono al Bambino: «Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (2, 11). Se, infatti, già in età antica, le rappresentazioni iconografiche raffigurano tre Magi, come nella celebre cappella greca di Priscilla del iii secolo, non mancano casi in cui gli offerenti variano in numero di due, quattro e persino sei, forse per ragioni di pura simmetricità. Attorno a queste figure si è creata, nel medioevo, e, segnatamente, nel XII secolo, un’affabulazione leggendaria che attribuisce i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre ai re, anche se un graffito rinvenuto nel complesso monastico egiziano di Kellia, riferibile al VII-VIII secolo, pare già menzionare i nomi Gaspar, Belchior e Bathesalsa.

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 La Croix» a colloquio con il gran rabbino di Francia Gilles Bernheim

Abbiamo perso la comprensione del senso morale

Pubblichiamo stralci dell’intervista al gran rabbino di Francia Gilles Bernheim - “Nous avons perdu la compréhension de ce qu’est le sens moral” - che può essere letta nella sua integrità sul sito internet del quotidiano francese “La Croix”.

di Martine de Sauto

“Abbiamo perso la comprensione di quello che è il senso morale”. Il gran rabbino di Francia ama prendere la parola per esprimere una posizione che illumina i dibattiti sociali e fa riflettere, come è accaduto di recente sulla questione “matrimonio per tutti”. Per “La Croix” affronta i temi principali che preoccupano la società contemporanea e ricorda il ruolo delle religioni.

Lei dice spesso che la grandezza di una religione sta nella sua capacità di far riflettere. L’impegno intellettuale è per lei un dovere morale? L’ebraismo è un’esigenza etica?
Prima di rispondere affermativamente, mi permetta di dire che è il concetto stesso di etica a essere diventato incoerente. Noi abbiamo ampiamente perso la comprensione, insieme teorica e pratica, di quello che è il senso morale. Perché? Perché l’effetto corrosivo del dominio del mercato non agisce solo sullo scenario sociale. Viene eroso anche il nostro vocabolario morale, che è indubbiamente la risorsa più importante di cui disponiamo per pensare il nostro futuro. Sempre più, in questa immensa società di mercato che è diventato il nostro pianeta, siamo giunti a pensare solo in termini di efficacia (come ottenere ciò che vogliamo?) e di terapia (come non sentirsi frustrati rispetto a ciò che vogliamo?). Efficacia e terapia, a volte addirittura infiltrate dentro le religioni monoteistiche, sono più imparentate con la mentalità del marketing - la stimolazione e l’appagamento del desiderio - che con la moralità, ossia con ciò che noi dovremmo desiderare. Nell’ambito pubblico, i due termini che dominano il discorso contemporaneo sono l’autonomia e i diritti, che si conformano con lo spirito del mercato, privilegiando la scelta e scartando l’ipotesi secondo la quale esisterebbero dei fondamenti oggettivi che consentono di effettuare una scelta piuttosto che un’altra. È diventato così molto difficile riflettere collettivamente su quelli che dovrebbero essere i nostri orientamenti, peraltro i più decisivi che si siano mai presentati all’umanità, che riguardino sia l’ambiente, la politica, l’economia, sia l’idea stessa di famiglia o di matrimonio, la vita e la morte. Come parlare di un bene che trascende il nostro appagamento particolare e immediato dal momento che abbiamo perso il senso di ciò che sono il dovere, l’obbligo e il ritegno e non ci resta altro che i nostri desideri che esigono il loro “dovuto”? A parte questa riserva, l’ebraismo è un’esigenza etica e l’impegno intellettuale è un dovere morale.
La crisi economica e finanziaria ci pone di fronte a sfide molto grandi. Cosa ne pensa lei?
Le democrazie liberali occidentali sono mal equipaggiate per farsi carico dei problemi dei più indigenti tra le vittime della crisi. Non perché non si preoccupano della povertà, ma perché hanno adottato meccanismi che emarginano le considerazioni morali. Per questo le loro politiche sociali diventano sempre più tecnocratiche e gestionali. I governi esitano sempre più a far riferimento a una nozione di bene perché l’idea di una buona condivisione e di una regola di condotta non trova più i propri fondamenti morali e giuridici. Sembra loro che la cosa migliore che si possa fare sia di offrire agli individui più libertà possibile affinché siano in grado di compiere le proprie scelte. In tale ottica lo strumento più adatto è il libero mercato, dove in effetti possiamo adottare lo stile di vita che ci si addice per esempio in quest’anno, o in questo mese. Al di là di offrire la possibilità di fare ciò che ci piace, limitatamente a quanto possiamo pagare, la politica e l’economia odierne non hanno un granché da dire sulla condizione umana. Abbiamo bisogno di ritrovare una tradizione più antica che parla di solidarietà umana, di giustizia e della dignità inalienabile delle esistenze individuali.

(©L’Osservatore Romano 6 gennaio 2013)

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