Il lavoro, espressione della dignità umana
LAV O R O E S O C I E TÀ
Fausta Tinari
Il lavoro è una parte indissolubile dell’esistenza dell’uomo.
Non è una convenzione stabilita dalla consuetudine, né dalla legge. Nella storia del lavoro lo stesso concetto si è trasformato adeguandosi alla società e ai cittadini. Come indica la stessa radice latina del termine, il lavoro nasce dalla fatica. Il ‘labor’ degli antichi romani descrive, infatti, una condizione lavorativa non libera, propria della schiavitù. Bisogna attendere la rivoluzione cristiana, l’incarnazione del Verbo perché la centralità della persona divenga patrimonio condiviso e il lavoro diventi condizione per essere appagati.
È su questo valore non negoziabile che il lavoro, cioè la principale attività umana, diviene diritto da tutelare in quanto elemento fondamentale della
dignità dell’uomo. Il mondo del lavoro è stato attraversato negli anni da
trasformazioni radicali e profonde. Esse, per un verso, sono la conseguenza delle innovazioni e dei progressi che si sono registrati nelle conoscenze scientifiche, nelle tecnologie produttive e nella cultura e, per un altro,
sono state esse stesse causa di queste innovazioni e progressi, così da dar vita a quella circolarità tra causa ed effetto che rende difficile la costruzione di uno schema interpretativo unico e rigoroso. In questa difficile fase di transizione da un’economia industriale a un’economia terziarizzata, dalle economie nazionali all’economia globalizzata; di profondi mutamenti nei metodi di produzione ed organizzazione del lavoro; di rivolgimenti demografici, sono le giovani generazioni a sopportare la maggior parte degli oneri dovuti ai cambiamenti.
Le persone in età giovanile si trovano di fronte a tante incertezze e difficoltà da rappresentare oggi una categoria sociale a rischio. Si rende quanto mai necessario soddisfare la ricerca di senso di una intera generazione che passa per il lavoro e lo oltrepassa. Un lavoro che non può essere circoscritto alla sola funzione necessaria alla sopravvivenza materiale ma deve essere strumento di autorealizzazione, di riconoscibilità e di legittimazione sociale nonché di dignità personale, un modo per ricordare il valore alto e profondo del lavoro attraverso cui riscoprire la centralità della persona e la possibilità che i giovani hanno di sviluppare i propri talenti e le proprie potenzialità sentendosi utili a se stessi e agli altri. Invece nel guado di una crisi che ancora non sembra poter offrire una nuova normalità, assistiamo all’incapacità della politica a includere i giovani, paradossalmente proprio quelli maggiormente qualificati, nel tessuto produttivo: nessuna progettualità, nessuna politica mirata per costruire nuove condizioni.
Tutte le indagini e le ricerche mettono in evidenza l’aumento della disoccupazione tra i giovani, la precarietà del lavoro, l’incertezza del futuro, la frustrazione di ogni progetto di vita.
In questa realtà il lavoro rischia di perdere quella funzione aggettivante che da sempre ha avuto nella crescita spirituale e materiale dell’uomo a favore di logiche di mercato o stati di necessità.
Ma ogni crisi, anche quella economica, potrebbe divenire, se ben affrontata, un punto positivo, un modo per trovare un nuovo e più equo sviluppo della società. La realizzazione di questa dinamica passa anzitutto da una presa di coscienza collettiva degli errori e delle esagerazioni precedenti. Tocca a noi cattolici riaffermare lo spirito vero del lavoro. Non dobbiamo e non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità sperando nel taumaturgo di turno. La condizione economica odierna accentua la gravità di questi temi e ci costringe a considerare un diverso paradigma economico che poggi su una diversa economia di mercato che sia sociale e civile, rimetta l’uomo al posto che gli compete, cioè al centro della società, cambiando le logiche dominanti, superando il modello egoistico di sviluppo basato unicamente sul PIL. L’economia ha bisogno dell’etica per declinare efficienza e solidarietà, attraverso la piena valorizzazione della persona umana. Dopo aver toccato con mano la fragilità del sistema, i cui frutti sono stati l’individualismo e il consumismo più sfrenati finendo nelle mani delle lobby finanziarie dobbiamo sforzarci per trovare soluzioni che valorizzino la collaborazione tra le parti promuovendo nuove forme di partecipazione, in modo da responsabilizzare tutti gli attori economici. Occorre stimolare la crescita assicurando un’equa redistribuzione delle ricchezze, attuando il principio della solidarietà e della coesione sociale.
Inoltre il lavoratore, ed il giovane in particolare, va tutelato nelle fasi di transizione da un lavoro ad un altro, ed accompagnato verso posizioni di lavoro più stabile. In queste condizioni è molto difficile per le nuove generazioni guardare al futuro con ottimismo. I giovani, però, non devono aspettare, né sentirsi oggetti di politiche più meno avvedute ma cittadini a tutto tondo capaci diprotagonismo nella definizione delle scelte che riguarderanno il futuro del nostro Paese. E, soprattutto, deve crescere una solidarietà tra i giovani stessi oltre a quella tra le generazioni.
“Dare un futuro ai giovani” dando dignità al lavoro dei giovani è prioritario per il Movimento Cristiano Lavoratori che da tempo persegue e sostiene una politica efficace e capace di consentire a noi giovani di esprimere al meglio il nostro potenziale all’interno di un mercato del lavoro che sappia riconoscere e premiare il merito in una società veramente inclusiva, dove l’aspetto anagrafico non sia un impedimento insuperabile di emarginazione e di vana attesa, ma una risorsa da valorizzare.
(da Traguardi Sociali - n. 55 Nov.Dic. 2012)
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