da www.avvenire.it del 20 maggio 2012
Promessa tenace
Davanti a una scuola, mai. Questo Paese ha visto, trent’anni fa, bombe scoppiare in una banca, o su treni affollati, ad agosto, o alla vigilia di Natale. Ma davanti a una scuola non era mai successo. E potevamo pensare che anche nella mafia e nella ‘ndrangheta o nell’eversione organizzata esistessero codici inviolabili: per cui non si mette un ordigno davanti a una scuola, nell’ora in cui suona la prima campana. Potevamo credere finora che delinquenti e terroristi non si avvicinassero alle aule, perché, - pensavamo - anche per loro quei ragazzi somigliano a figli, e non a nemici.
Ma ciò che è successo a Brindisi sradica questa pure minimale certezza. La bomba aveva un timer, ed è esplosa proprio quando sono arrivate le prime studentesse, come ogni mattina, con la corriera da Mesagne, paese già al centro delle trame della Sacra Corona Unita. Una bomba, proprio davanti a una scuola intitolata a Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo, a vent’anni dalla strage. Melissa, sedici anni, quel giorno non era neanche nata. Forse, per lei e per le sue compagne ferite il nome sull’ingresso della sua scuola era già un passato nobile quanto remoto: come per noi, nati negli anni Sessanta, erano già lontani nel tempo i nomi dei caduti partigiani, sulle lapidi nelle piazze dei paesi. Forse, Melissa credeva di vivere in un Sud diverso, in cui le vecchie logiche sono finite, e le donne studiano, e possono riuscire a andar lontano. Da Facebook si affacciava su questo nuovo mondo: bella, sorridente, esile come lo si è a sedici anni - come una spiga di grano. Di lei restano, sull’asfalto, le pagine di un diario a brandelli, e libri lacerati. E, testimonia chi ha visto, che gran silenzio è piombato su quella via, dopo il boato: un atroce silenzio, come se nulla potesse fare fronte a ciò che è stato.
Questo silenzio tocca anche noi, ci riguarda. Perché davvero è annichilente la scelta di colpire davanti a una scuola; una mafia, se mafia è stata, che operasse così somiglierebbe ai talebani che bruciano le aule delle bambine afghane, perché quelle imparino che il mondo deve restare come è sempre stato.
Veramente questa bomba tradisce ogni codice, ogni residuo di umana appartenenza comune, anche fra assassini. Proprio per questo, occorre non lasciarsi annichilire. Occorre avere il coraggio di vedere fin dove può arrivare la umana capacità di male. Fino a mozzare il destino di una ragazzina che ieri si era alzata come ogni giorno all’alba, per salire sul bus e andare scuola. Una che forse questo sabato voleva uscire con gli amici; e davanti, fra pochi giorni, le vacanze, l’estate, grande come quando si è ragazzi, e ogni giorno sembra una promessa infinita. Chi ha messo quella bomba voleva uccidere, ma non solo dei ragazzi; colpire così una scuola, dei figli, significa volere ammazzare la speranza che in quei figli cresce. Per questo il tricolore a mezz’asta per tre giorni nelle nostre città dice di un autentico dolore; perché Melissa è in ognuna delle nostre figlie, fresche, vive, pronte, in questo vecchio mondo, a ricominciare daccapo ancora; dalla loro stessa femminile natura spinte a sperare.
Se quel grande silenzio di Brindisi si allargasse sulle nostre case, come una sfida ineludibile, e zittisse il chiasso di sciocchezze, grida, vendette, minacce che abita le nostre parole quotidiane. Se quel silenzio ci interrogasse: volete voi un Paese in pace, dove si viva e si studi e si lavori confidando in un bene comune e caro?
Allora abbassando la voce, lasciando indietro rancori e schiamazzi, si potrebbe lunedì tornare a scuola, negli uffici e nelle fabbriche, più memori di un dovere grande, che in ogni crisi, comunque, tutti abbiamo. Dovere di vivere e non di abdicare o arrendersi, di continuare la nostra storia: che già si affaccia nei visi delle sedicenni come Melissa, nei crocchi fuori dalle scuole, alla vigilia dell’estate.
Marchio di una promessa tenace cui vorremmo restare, in questo grande e povero e ricco Paese, fedeli, ostinatamente, ancora.
Marina Corradi
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