Da www.avvenire.it del 2 aprile 2012
MALATTIA E SOCIETÀ
Che non ci sia solo una ricorrenza. Ma piuttosto un segnale forte che richiami l’attenzione di tutti, che si intravedano percorsi da realizzare e nuove partenze verso mete importanti. Questo vorrebbero chiedere domani in 550mila. Tante sono le persone che in Italia soffrono di autismo, di cui si celebra il 2 aprile la quinta giornata mondiale della consapevolezza, sancita dall’Onu. Mentre la consapevolezza è proprio ciò che ancora manca in risposta a una condizione che si caratterizza per numeri da emergenza sociale, che interessa molti più soggetti rispetto a quelli che soffrono di celiachia, della sindrome di Down, cecità o sordità.
Le stime internazionali indicano che un bambino su 110 nasce con una possibile diagnosi di disturbi dello spettro autistico, che hanno natura neurobiologica e compromettono gravemente la comunicazione verbale e non verbale e l’interazione sociale. Per loro non esistono cure né guarigione perché l’autismo dura tutta la vita anche se la diagnosi scompare dopo i 18 anni, quando improvvisamente la sindrome passa sotto l’etichetta di malattia psichiatrica generica, senz’altra prospettiva che il ricovero negli istituti o la totale dipendenza dalle famiglie. Ma l’assistenza rimane, nella grande maggioranza dei casi, un onere esclusivo di madri e padri. Secondo una ricerca della fondazione Cesare Serono e del Censis, la metà delle mamme di piccoli con autismo ha dovuto lasciare il lavoro o ridurlo. Oltre il 30% degli adolescenti e adulti non riceve nessun intervento e nel 20% dei casi i genitori inseguono ipotesi di trattamento inutili, dannose e spesso molto costose. E nonostante l’Istituto superiore della sanità abbia pubblicato a gennaio le linee guida per il «trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti», le associazioni di famiglie e le organizzazioni professionali continuano a lottare affinché il documento sia adottato dalla Conferenza Stato-Regioni e perché il ministero della Salute si impegni ad attuare linee di indirizzo su tutto il territorio nazionale. Ed è proprio per questo che, sempre secondo l’indagine Censis, l’autismo è risultato la sindrome più grave tra le disabilità considerate, perché ai bisogni di pazienti e familiari non corrispondono adeguati interventi terapeutici, abilitativi e assistenziali. Molti poi sono gli operatori che rifiutano la formazione permanente che sarebbe loro necessaria per potere fornire un intervento di tipo educativo e comportamentale, l’unico che si è dimostrato nel mondo come il più efficace mentre le cure restano inappropriate e anacronistiche.
Se ne parlerà anche domani, a Cesano Boscone (Milano), in occasione del convegno di studio “Le linee guida nazionali per l’autismo in età infantile e adolescenziale, prospettive ed opportunità“. «Dopo anni di richieste ci aspettiamo risposte dalle amministrazioni tutte - fa sapere Anna Bovi, mamma di Andrea, autistico di 40 anni, e presidente di Angsa Lombardia, associazione che riunisce i genitori dei soggetti affetti da autismo -. Una regione come la nostra che conta almeno 150mila autistici necessita di una rete di supporti coordinata e continuativa che assolva al compito della presa in carico del paziente mentre ancora adesso rimangono le criticità di sempre: le infinite attese per le diagnosi, la precarietà degli insegnanti di sostegno nelle scuole, l’inadeguatezza della formazione tra gli operatori e la totale mancanza di servizi che impegnino i figli durante le nostre ore di lavoro e anche nel tempo libero. Occorre razionalizzare: meno ricoveri negli istituti, più iniziative di accompagnamento e più educatori. Servirebbe, oltre a limitare i costi (la spesa per una giornata in una comunità alloggio è di 500 euro!), anche a sottrarre i nostri figli da una vita trascorsa in istituto e annullata dalla dipendenza dagli psicofarmaci».
Paola Molteni
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