da: www.repubblica.it del 31 marzo 2012
Caldo record e piogge in calo del 50%
il Nord riscopre gli antichi riti anti-siccità
Preghiere, processioni e croci nei campi: “Non resta che affidarsi a Dio”. Dalla Toscana al Veneto, fiumi a secco e raccolti a rischio: “Ormai è emergenza”. A Firenze il cardinale Betori scrive una lettera ai parroci: organizzate veglie di JENNER MELETTI
TREBASELEGHE (Padova) - Forse sarà meglio procurarci dei rami di ontano. “Con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all’inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro”. Quando era bambino, Lorenzo Zanon - sindaco di Trebaseleghe e insegnante di religione - andava con i suoi genitori alle “rogazioni”.
“Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all’altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti… Si recitavano le litanie speciali. “A fulgure et tempestate libera nos Domine”. Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio “ad petendam pluviam”, per invocare al pioggia”. Ci sarà davvero bisogno, dei rametti di ontano.
Secondo il climatologo Giampiero Maracchi nell’inverno e in questo inizio di primavera è arrivato solo il 30% della pioggia che cade di solito. La Coldiretti stima in particolare un calo superiore al 50% al Nord e compreso fra il 25 e il 50% al Centro e in Sardegna. L’appello dei cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a “pregare per il dono della pioggia”, non giunge a caso. L’invaso del Bilancino che disseta mezza Toscana è appena a un terzo della capienza, il fiume Arno porta solo un decimo dell’acqua mediamente presente in questa stagione. “La siccità - ricorda il sindaco insegnante - è fra le dieci piaghe d’Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L’idea che Dio mandi l’acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia.
“Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia”. Nell’antica Roma durante la cerimonia chiamata “aquilicium” matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l’acqua sacrificando a Xipe Totec, “nostro Signore lo Scuoiato”, nemici e schiavi. “Nella religione cristiana - dice Lorenzo Zanon - il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in “invocazione delle precipitazioni”. Ad petendam pluviam inizia in quei tempi”.
“L’invocazione del sacro di fronte alle calamità - dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara - è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell’acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant’Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l’ulivo”.
A Farra d’Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. “Forse non ci sarebbe bisogno - dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti - di una preghiera specifica. Già nel “Padre Nostro” c’è l’invocazione giusta: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane”. Ma nel Messale c’è una “Colletta” - una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli - che così invoca la grazia dal Cielo. “O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l’umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito”.
A Bolzano i meli sono già fioriti, con un mese di anticipo. Questo marzo è il più caldo degli ultimi 15 anni. In Veneto sono in pericolo mais, grano e radicchi. In Toscana il frumento non riesce a crescere e forse sarà perduta metà della produzione, due milioni di quintali che valgono 60 milioni di euro. “Con il caldo arrivato così presto - racconta Amedeo Gerolimetti, coltivatore diretto di Castelfranco Veneto - quasi tutti hanno anticipato di un mese la semina del mais. Il terreno era perfetto, sull’asciutto si lavora bene.
Ma il troppo calore adesso ha ridotto le zolle in polvere, e allora c’è bisogno di acqua per fare crescere le piantine di granoturco e per attivare gli anticrittogamici messi contro gli infestanti. Chi ha l’impianto a pioggia, se la può cavare, anche se io non avevo mai visto annaffiare a marzo. Ma chi usa l’irrigazione a scorrimento, non sa come fare. L’acqua viene infatti mandata nei campi attraverso i solchi ma questi si scavano, una fila sì e una no, quando il mais è già alto trenta o quaranta centimetri. E invece sta appena spuntando. Chi non ha seminato, è ancora più disperato. Il sole ha cotto le zolle come fossero mattoni, e se vedi nelle campagne un gran polverone, vuol dire che un contadino sta cercando di spaccare la crosta con l’erpice, per poter seminare”.
La siccità può diventare un incubo, e anche i Santi a volte non sanno fare il loro dovere. In Sicilia, nel 1893 - come ha raccontato l’antropologo Marino Niola - non piovve per sei mesi. Per protesta San Giuseppe fu gettato in un giardino bruciato dal caldo. A Caltanissetta furono strappate le ali d’oro a San Michele Arcangelo e sostituite con ali di cartone. Lo stesso angelo, a Licata, fu denudato e minacciato d’impiccagione. “O la pioggia o la corda”, gridavano i fedeli. Almeno per ora, meglio preparare soltanto le croci bianche di ontano.
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