Intervista Il vertice a Londra
apr 14

Lo schiaffo al Nord globale e dove vogliamo essere noi domani

Enrico Giovannini - da www.avveniore.it - domenica 13 aprile 2025

Alla Davos asiatica è recentemente emersa una riflessione su quel che sarà il nuovo mondo. Ora serve che le migliori menti del Paese si mettano insieme per decidere l’agenda delle vere priorità

«Il Nord Globale non esiste più, ha deciso di autodistruggersi. È una straordinaria opportunità per noi, i Brics, l’Asia e il Sud Globale per conquistare il posto che ci spetta nel mondo». Così si è espresso un alto funzionario della Federazione russa nel corso del Forum di Boao, una sorta di Davos asiatica, svoltosi qualche settimana fa in Cina. Vi assicuro che non è stato semplice per gli occidentali presenti prendersi uno schiaffone (politico) in pieno viso, ma come dargli torto? Ciò a cui stiamo assistendo, al di là della guerra commerciale scatenata da Trump, è la frattura di quel Nord Globale che ha dominato gli ultimi decenni e che è stato, proprio per questo, apertamente avversato dal resto del mondo nelle sedi multilaterali, a partire dalle Nazioni Unite, negli ultimi due anni. Peraltro, la “dottrina Trump” è espressa in modo sprezzante contro gli storici alleati, a partire dai Paesi europei, accusati di essere dei “ladri” impegnati a depredare gli Stati Uniti.

Se poi a tutto ciò si accompagna l’intento di azzerare i 40 miliardi di dollari destinati dagli Stati Uniti ai Paesi in via di sviluppo, il messaggio di frantumazione dell’attuale assetto delle relazioni politiche globali risuona ancora più “forte e chiaro” e, almeno a giudicare da quanto sentito a Boao, è stato perfettamente capito dal continente asiatico.
Nel corso del Forum, però, abbiamo anche sentito il Vice primo ministro cinese richiamare l’impegno della Cina a realizzare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dalle Nazioni Unite nel 2015, e il Patto sul Futuro approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu a settembre scorso. Al di là della distanza tra dichiarazioni e realtà (basti pensare al rispetto dei diritti umani) i due richiami appaiono perfettamente in linea sia con lo sforzo cinese per realizzare la transizione ecologica (in primo luogo per conseguire l’autonomia energetica), sia con l’obiettivo di ridiscutere la governance delle grandi istituzioni internazionali (a partire dalla Banca Mondiale e dal Fmi), come previsto dal Patto sul Futuro per dare più potere ai paesi emergenti e in via di sviluppo, temi poi ripresi in vari discorsi nei giorni del Forum.
Queste posizioni appaiono opposte a quelle espresse dagli Stati Uniti, il cui rappresentante all’Assemblea Generale dell’Onu ha recentemente affermato il rifiuto dell’Agenda 2030 in quanto troppo orientata alla transizione ecologica, alla tutela della diversità e al contrasto dell’esclusione sociale, obiettivi contrari a quelli dell’Amministrazione Trump, la quale ha fatto anche sapere per vie informali che non ha nessuna intenzione di discutere della governance delle istituzioni internazionali nel corso del Summit Onu di Siviglia della prossima estate. Se poi aggiungiamo la guerra avviata da Trump alle organizzazioni internazionali (tutte soggette a tre mesi di intenso scrutinio della coerenza dei loro programmi di lavoro con le priorità americane) e alle sedi multilaterali di discussione, anche scientifica, di tematiche globali (salute, educazione, clima, ecc.) il contrasto tra i discorsi (e sottolineo i discorsi) che si sentono fare ad est e ad ovest dell’Europa non potrebbero essere più diversi.
Dunque, noi cosa vogliamo fare? Non si tratta di schierarsi a favore di uno o dell’altro, ma di elaborare una chiara idea di cosa l’Unione europea vuole essere tra cinque o dieci anni, del ruolo che essa vuole assumere a livello globale, di come conseguire quell’autonomia strategica “aperta” (energetica, tecnologica, di difesa, ecc.) di cui tanto si parla, che consenta di assumere posizioni chiare senza essere ricattati con la chiusura del rubinetto del gas, la sospensione della copertura militare, lo spegnimento della rete satellitare esistente, ecc. E quanto appena detto vale anche per l’Italia.
La famosa preghiera “Dio aiutami a cambiare le cose che posso cambiare, accettare quelle che non posso cambiare e a distinguere le prime dalle seconde” dovrebbe diventare il nostro mantra culturale e politico nonostante ciò che ci circonda, anzi proprio a causa di esso. Se la Cina ha dimostrato storicamente di guardare al lungo periodo e gli Stati Uniti intendono fare lo stesso per creare un nuovo ordine internazionale, allora non possiamo discutere di cosa vogliamo fare noi “da grandi”. Faccio un solo esempio: l’Italia vuole correre seriamente e a più non posso per trasformare il nostro sistema energetico, puntando sulle rinnovabili, così da poter abbassare i costi dell’energia ed essere autonomi il prima possibile o vogliamo sottostare alla pressione di Trump per acquistare nei prossimi anni petrolio e gas dagli stati Uniti? Se la risposta è la seconda allora continuiamo a fare quello che stiamo facendo; se è la prima, allora dichiariamo la sicurezza energetica una questione d’interesse nazionale, centralizziamo le decisioni e superiamo le resistenze all’istallazione di rinnovabili.
Anni fa Bill Clinton spiegò all’allora aspirante primo ministro inglese Tony Blair la differenza tra questioni “urgenti” e questioni “importanti”, condividendo il più grande segreto che aveva scoperto da quando era in carica, cioè che «se un politico si fa schiacciare dalle prime e non dedica tempo alle seconde, le cose importanti non le farà mai». Come ha detto qualcuno, se non ci occupiamo del futuro sarà il futuro ad occuparci di noi e questo, nell’attuale mondo conflittuale, non mi sembra una prospettiva tranquillizzante. Per questo, e qui ripeto la stessa proposta che feci pubblicamente nel febbraio del 2020, all’inizio della pandemia, e che poi portò alla costituzione del cosiddetto “Comitato Colao”, è il caso di mettere le migliori menti del Paese a lavorare insieme per predisporre un “Rapporto sull’Italia, l’Unione europea e il mondo che vogliamo”, così che anche le risposte di breve termine siano inquadrate in un’ottica di medio-lungo periodo. Invece che accettare l’alternativa tra morire trumpiani o cinesi, dovremmo, con coraggio, scegliere di vivere da europei, fieri dei nostri valori, scritti nella Costituzione e nel Trattato dell’Unione, e impegnarci al massimo per realizzarli. Se provano a farlo (a modo loro) gli Stati Uniti e la Cina perché noi dovremmo rinunciare senza neanche provarci?

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