Il 1789 abbatté il re. E creò patriarcato e capofamiglia
Giuseppe Bonvegna - da www.avvenire.it - domenica 9 marzo 2025
Tradotto il saggio di Farge e Foucault sulla collaborazione tra popolo e sovrano nel controllo sociale. Un sistema paternalista ma caratterizzato da parità di genere, la cui fine emarginò la donna
Qualora l’Antico Regime cattolico francese avesse ancora bisogno di essere liberato dalla gabbia interpretativa che lo vede come la patria dell’oscurantismo e della negazione del diritto (cucitagli addosso dalla Rivoluzione e tuttora permeante almeno i libri di testo delle scuole), basterebbe leggere le lettere che la gente del popolo, tra il 1727 e il 1758, inviava al re Luigi XV Borbone per far recludere membri “malati” delle proprie famiglie.
Una parte di quel materiale esce adesso in prima edizione italiana per Donzelli: si tratta delle richieste di internamento di un marito o di una moglie nei confronti del proprio coniuge e dei genitori nei confronti dei figli che la storica Annette Farge e il filosofo Michel Foucault, alla fine degli anni Settanta, hanno raccolto a Parigi dagli Archivi della Bastiglia (depositati presso la Biblioteca dell’Arsenale) e pubblicato nel 1982 per Gallimard (Il disordine delle famiglie. Potere, ordine pubblico e controllo sociale, pagine 282, euro 28,00). Come racconta la stessa Farge nella prefazione all’edizione italiana, a proporle il lavoro era stato Foucault, che l’aveva conosciuta grazie a Philippe Ariès, l’anziano e famoso storico della famiglia e delle istituzioni sociali tra Medioevo ed Età moderna.
Emerge quindi dalle fonti primarie d’archivio non solo come il re facesse seguire alla richiesta un’ordinanza di imprigionamento (lettre de cachet): ma anche l’immagine di un sovrano molto diversa da quella collerica presente nella «selva dei luoghi comuni» (con la sua volontà di imprigionare solo «nobili infedeli o grandi vassalli irriguardosi») e molto più simile a quella di un padre che ascolta «le passioni del basso popolo».
Era del resto noto, già prima dello studio di Farge e Foucault, che i pochi detenuti nella Bastiglia la mattina dell’assalto del 14 luglio 1789, ordito dai club rivoluzionari che avevano dato vita al complotto antimonarchico servendosi della manovalanza del basso popolo parigino, erano non prigionieri politici, ma persone (sette in totale) socialmente pericolose fatte rinchiudere dal re a seguito di queste segnalazioni provenienti dalle loro stesse famiglie. Si trattava certamente di una forma di collaborazione tra popolo e sovrano in vista di un maggior controllo sociale (a spese del richiedente e spesso intrisa di arbitrarietà), dal quale la storica e il filosofo prendono le distanze in nome di una liberazione da ogni forma di potere, liberazione peraltro ampiamente auspicata nelle note opere foucaultiane degli anni Sessanta e Settanta: dalla Storia della follia nell’età classica alla Storia della sessualità.
Tuttavia, la politica dell’Antico Regime, in tema di controllo del funzionamento delle famiglie, viene descritta in queste pagine non come un «atto pubblico mirante ad eliminare senza altra forma di processo il nemico del potere», né come «un “Potere” anonimo, oppressivo e misterioso». Siamo piuttosto in presenza della possibilità, offerta a chiunque da parte della monarchia, di non passare dal disonore del tribunale e di confessare i propri segreti al Luogotenente generale della polizia, il quale li trasmetteva direttamente al re: all’insegna delle pari opportunità (per il monarca «le aspettative che una donna ha rispetto alla coppia sono altrettanto importanti di quelle di un uomo») e di una «personalizzazione importante del rapporto fra il sovrano e il suo popolo», per cui il segreto privato «resta tale, anche quando viene reso pubblico nel luogo più elevato del potere». Questo sistema si spingeva fino a prevedere la possibilità, per il condannato, di confessare al sovrano il pentimento avvenuto, in una sorta di «vita ideale, creando un’armonia nata dalla bontà del re, dall’umanità della polizia e dalla sollecitudine per la tranquillità familiare».
Ci avrebbe pensato poi la Rivoluzione, una volta abbattuta la monarchia, a “liberare” il popolo, in nome dei diritti dell’uomo e del cittadino, dall’opportunità, che aveva avuto fino ad allora, di far valere i propri diritti presso il sovrano, di collaborare con lui nel mantenimento dell’ordine e di poter quindi difendere il proprio onore a un livello di parità condiviso con l’aristocrazia: l’Ottocento, figlio della Rivoluzione, avrebbe mantenuto, del sistema dell’Antico Regime, soltanto il meccanismo del pentimento, ma mettendo la società al posto del re come destinataria della confessione e facendo emergere, al posto de re, la figura del capofamiglia maschio (marito o padre) come «detentore dell’autorità e della responsabilità».
Quando, cioè, «le lacerazioni familiari cessano di essere cause regie, si va gradualmente delineando uno spazio domestico nel quale sarà naturalmente l’uomo a dettare legge»: e la donna, che fino quando era rimasta inserita all’interno del sistema cattolico dell’Antico Regime aveva goduto di pari dignità rispetto all’uomo davanti al re, allora (all’inizio della Seconda modernità dei Codici civili) fu costretta a «lasciare la scena» all’uomo che iniziò a relegarla «nello spazio della vita privata».
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