Editoriale PAROLA DI VITA - Marzo 2025
mar 01

L’Ucraina ha paura, la Russia esulta: cosa può cambiare adesso

Nello Scavo - da www.avvenire.it - sabato 1 marzo 2025

Mosca ha parlato di «scontro storico», mentre Kiev prova a ricompattarsi: «Non siamo una sola persona, siamo milioni di persone». I timori per l’offensiva finale di Putin

«Potrà tornare quando sarà pronto per la pace». Il post di Donald Trump al termine del ruvido corpo a corpo verbale con il presidente ucraino Zelensky suona come la sicura tolta alla pistola. Mosca gongola e parla di scontro «storico», mentre su tutta l’Ucraina risuonano le sirene d’allarme aereo.
In una settimana è accaduto più di un decennio. Un giorno dopo l’altro Donald Trump è stato rintuzzato da Macron, da Starmer e infine da Zelensky, tra tutti il meno diplomatico. In un solo colpo la Casa Bianca aveva in mente di ottenere il sostanziale controllo delle preziose “terre rare” ucraine e il pieno mandato a negoziare la pace con Putin. Né l’uno, né l’altro. Il litigio tra il tycoon spalleggiato dal suo vice JD Vance e il leader ucraino Zelensky dice che la porta della Casa Bianca non è più aperta come un tempo. In Ucraina, dopo tre anni di guerra, le immagini che arrivavano da Washington hanno innescato uno psicodramma collettivo. Tra chi preconizza la reazione immediata e soddisfatta di Putin, e chi spera in chissà quale asso nella manica per Kiev.
L’ancora di salvezza si chiama Europa, non tutta intera, ma l’asse Parigi-Londra che nella speranza dell’Ucraina possa fare da traino su Paesi come Germania e Italia, potendo contare sulla determinazione della Polonia e la fragile muraglia di ghiaccio dei baltici. Al di qua dell’Atlantico il primo a reagire è stato proprio il presidente francese: «La Russia è l’aggressore, e quello dell’Ucraina è il popolo aggredito». Un modo per dire a Trump che anche nelle difformità dei punti di vista si dovrebbe tenere a mente chi sta pagando un tributo di sangue e per quali responsabilità. Dalla Casa Bianca una fonte vicina al presidente vorrebbe gettare acqua sul fuoco, ma l’effetto sarà opposto: «Trump non esclude un accordo con Zelensky, ma non prima che l’Ucraina pronta ad affrontare colloqui costruttivi». Bastone e carota che però non calmano le acque. «Caro Zelensky, cari amici ucraini, non siete soli», scrive su X il premier polacco Tusk. Sembra una chiamata alle armi, con l’Ucraina in guerra e l’Europa sull’orlo del precipizio.

Se gli esperti di galateo diplomatico non mancano di rimproverare al leader ucraino una veemenza inadatta al luogo e al momento, e che sarebbe stato meglio conservare la stizza per il faccia a faccia a porte chiuse, l’effetto sui media ucraini e su quella parte di opinione pubblica locale lesta a commentare sui social network sta semmai restituendo al presidente, che solo una settimana fa era stato definito da Trump «mediocre comico» e «dittatore senza legittimità», quel consenso che tre anni di guerra hanno eroso ma non del tutto compromesso.
Dal punto di vista di Kiev, quello teso all’ospite ucraino è stato un agguato, in un due contro uno, nel quale Zelensky ha subìto gli attacchi del presidente americano e del suo vice. Ma che al leader ucraino siano saltati i nervi, a non pochi è sembrato come un fallo di reazione, dopo essersi sentito accerchiato.
Il timore di una risposta brutale di Mosca, legittimata dalle parole di un Trump in veste più di giocatore che di arbitro, offre all’opposizione ucraina l’opportunità di alzare la voce. «L’Ucraina non è una sola persona, è milioni di persone. Senza gli Stati Uniti non potremmo stare in piedi», dice Oleksyj Goncharenko, deputato della minoranza che pochi ore prima aveva vota l’estensione dei poteri del presidente per un altro anno.
Qualche giorno fa Zelensky aveva chiamato alla calma: «È il tempo del pragmatismo, non delle emozioni». Ieri non è andata così, e la speranza - la doverosa e necessaria speranza - è che non possa finire tutto qui. Non è ancora tempo di pace, non ancora. Ma nessuno sa quante altre pagine di guerra ci saranno da scrivere, e l’alterco in mondovisione di ieri alla Casa Bianca conferma che un’alternativa va individuata, e subito.

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