“Linfociti killer” per curare i tumori al pancreas e al colon
Vito Salinaro - da www.avvenire.it - martedì 4 febbraio 2025
Gli scienziati del San Raffaele di Milano, dopo 6 anni di studi e 18 team impiegati, sono pronti alla sperimentazione sull’uomo. Il direttore del Cancer Center, Fabio Ciceri: abbiamo grandi speranze
Pochi mesi, forse tre. Poi le nuove super cellule Car-T, o meglio i “T cell receptor”, saranno pronti ad aggredire due malattie dalla prognosi infausta: il tumore del pancreas e quello del colon in stadi avanzati, cioè in presenza di metastasi al fegato. Il trattamento allo studio è tutto italiano. Nato tra le mura dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, è stato sviluppato da 18 gruppi di ricerca che, grazie a un importante finanziamento derivante dal 5×1000 della Fondazione Airc, ci lavorano incessantemente dal 2019, diretti dalla professoressa Chiara Bonini, responsabile del laboratorio di Ematologia sperimentale del nosocomio e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele.
I ricercatori hanno passato al setaccio oltre mille campioni biologici per sondare le caratteristiche della malattia e del microambiente tumorale; hanno quindi individuato «importanti bersagli per nuove terapie» prima di cambiare, con le più avanzate tecniche di ingegnerizzazione ed editing genetico, il genoma dei linfociti T del nostro sistema immunitario, trasformandoli in cellule terapeutiche. Una tecnica già riuscita nei tumori del sangue ma ancora in fase di studio per quelli solidi. Non solo. In modelli preclinici, il team di Bonini ha cercato di rendere i nuovi “Car-T” sempre più capaci di sopravvivere nell’ambiente tumorale, tradizionalmente ostile ai farmaci, creando così inediti “prodotti medicinali di terapia avanzata”. La ricerca made in Milano è tra le più promettenti nell’arsenale delle armi contro il cancro ma solo la sperimentazione sull’uomo, ormai prossima, potrà dare risposte certe in merito alla sua efficacia.
«Il lavoro del gruppo di Chiara Bonini sposta i confini delle nostre conoscenze sul cancro e ci avvicina alla sperimentazione clinica, quella sull’uomo. Nutriamo grandi speranze e non vediamo l’ora di portare queste novità al letto del paziente»; così Fabio Ciceri, direttore del Cancer Center del San Raffaele (dove dirige anche il reparto di Ematologia con trapianto di midollo), titolare della cattedra e direttore della scuola di specializzazione in Ematologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele (puoi ascoltare qui il podcast).
Professore, i Car-T, in un certo senso stanno sorprendendo anche voi. Che potenzialità hanno?
I Car-T non sono altro che linfociti indirizzati contro il tumore attraverso una manipolazione genetica. Essi rappresentano la più clamorosa manifestazione della capacità di uccidere il tumore. Anche se c’è ancora molto da fare per “standardizzare” questa cura, si tratta di strumenti così efficaci da portare a delle guarigioni definitive in malati che prima non avevano alcuna possibilità.
In quali tipi di malattia?
Mi riferisco a molte malattie del sangue come la leucemia linfoblastica, i linfomi e il mieloma. Ma questo trattamento, come abbiamo visto, si sta estendendo anche ai tumori solidi. E, a parte la sperimentazione ormai prossima su pancreas e colon, i Car-T stanno interessando anche il cancro del cervello, per esempio; una sede patologica fino a pochi anni fa considerata inarrivabile ai farmaci per via della barriera ematoencefalica. Così come in altri tumori localizzati in aree per decenni inviolate, in quei “santuari immunologici” come il sistema nervoso centrale.
Professore, qualche settimana fa, l’Ospedale Bambino Gesù di Roma ha fatto sapere di aver impiegato Car-T anche contro malattie diverse dal cancro, nello specifico in patologie autoimmuni. Si aprono ulteriori prospettive di cura?
Certo. Le malattie autoimmunitarie dipendono dalla produzione, da parte dei linfociti B, di anticorpi che reagiscono in modo patologico nei confronti dei nostri stessi organi. Sto parlando di sclerosi multipla, alcune patologie reumatiche gravi come il lupus erimatoso sistemico, la sclerodermia, forme di vasculiti. Malattie nelle quali i Car-T vanno a distruggere la sorgente di questi auto-anticorpi dannosi, eliminati i quali la malattia si spegne, anche in modo definitivo.
Anche i Car-T sono figli di quella rivoluzione epocale rappresentata dall’immunoterapia, che affianca e anzi spesso diventa terapia di elezione rispetto a chirurgia, chemio e radioterapia. Cosa sta succedendo?
Succede che i tumori fino a 20-25 anni fa non erano compresi tra gli obiettivi di una risposta immunitaria. Di recente abbiamo compreso però che sono sensibili a questa risposta; il nostro organismo è in grado di riconoscere le cellule maligne e combatterle.
Ma questo non succede sempre. Perché?
In realtà accade molto più di quanto pensiamo. È provato che ogni giorno il nostro organismo elimini cellule alterate pronte a trasformarsi, oppure già trasformate in tumore. La sorveglianza immunologica è continua ma quando il tumore genera sostanze in grado di alterare questa sorveglianza, allora la malattia ha una progressione più rapida e di più difficile controllo. Le nuove conoscenze hanno portato allo sviluppo di farmaci che sbloccano i sistemi di inibizione attuati dal cancro, rappresentando uno standard di cura in molti tumori.
Quali?
Il melanoma, il tumore del rene, quello del polmone e molti tumori del distretto testa-collo. Ultimamente questi farmaci producono ottimi risultati anche nella neoplasia della vescica, portando ad una probabilità di eradicazione della malattia, dopo una sola linea di trattamento, dal 20 al 70% dei casi. Siamo di fronte ad una rivoluzione.
Un’altra grande speranza è rappresentata dai vaccini, che ci hanno tolto dai guai nell’ultima pandemia. Quando avranno un ruolo decisivo nella lotta al cancro?
I vaccini rappresentano uno strumento terapeutico complementare all’immunoterapia. Sono cioè destinati a sostenere e ad amplificare le risposte immunitarie contro il cancro. Quando il tumore viene asportato chirurgicamente, il nostro sistema immunitario non lo “vede” più, o non lo vede a sufficienza: in questa circostanza, il vaccino è in grado di “illuminare” e innescare le risposte immunitarie in un periodo di tempo molto lungo, provocando così non solo una scomparsa della malattia, ma costituendo anche una cura definitiva. I vaccini sono già realtà nel melanoma o nella neoplasia del rene. E tutto questo grazie alla tecnologia a Rna, utilizzata contro il Covid-19, un ritrovato innocuo dal punto di vista della tossicità a medio e lungo termine. È quella tecnologia che ci permette di immaginare, nel futuro, la stimolazione ad una risposta immune definitiva contro il tumore.
Eppure, proprio contro questi vaccini, si è scatenata la guerra di tante persone no-vax, non esclusi imbonitori, maghi, o teorici anti-scienza. Che sensazione prova quando qualche truffatore invita persone malate, spesso disperate, a lasciare le cure ufficiali e a intraprendere la strada di pillole magiche o pseudoterapie varie?
Penso a un fallimento della nostra capacità di medici, di scienziati, di spiegare la scienza con un lessico di comunicazione adeguato. Penso alla vita di tutti i giorni, in cui ho il dovere di spiegare ai malati e ai loro familiari, malattie difficili. L’esercizio di trovare le parole giuste per poter esprimere in modo semplice concetti complessi è una grande sfida. Dovremmo impegnarci in modo più sistematico a promuovere professionalmente la comunicazione scientifica: più che dire semplicemente, serve farsi capire.
Dobbiamo temere o salutare con entusiasmo l’avvento dell’intelligenza artificiale nella pratica clinica?
È già presente. Negli ospedali fruiamo dei risultati delle applicazioni dell’Ia, Risonanze o Tac sono già “contaminate” da metodologie di Ia, e abbiamo anche in gioco una straordinaria capacità di lettura dei dati già a nostra disposizione, soprattutto di quelli complessi. In ogni singolo paziente, l’Ia può aiutarci a caratterizzare il tumore, a svelare la sua genetica, il profilo personale di risposta immunologica, e a compiere scelte terapeutiche di alta precisione, impossibili senza tali supporti tecnologici. Abbiamo un grande futuro davanti, a patto che l’Ia resti sotto il nostro controllo.
Perché il paziente di cancro deve essere seguito in team multidisciplinari?
Ho studiato medicina 35 anni fa, quando non esistevano strumenti paragonabili alle odierne Tac, Risonanze, ecografie. Esistevano soprattutto i sensi del medico, e forse il nostro cuore, per comprendere le malattie. Oggi dobbiamo conciliare la unicità della persona del malato - perché noi non curiamo la malattia ma curiamo il malato - con l’accesso alle competenze, molto frammentate in tante specializzazioni. La grande sintesi di queste competenze rappresenta la multidisciplinarietà cui è delegata qualunque malattia oncologica: di cancro si occupano il chirurgo, il radiologo, l’oncologo, il patologo, il genetista, l’infettivologo… La terapia è frutto di un pensiero collettivo, a tutto vantaggio del paziente. Questa visione richiede un aspetto strutturale che i Cancer Center, soli, sono in grado di realizzare. Nell’Ue c’è l’indicazione a seguire i pazienti di cancro, con la presa in carico totale, in questi centri.
Ma i Cancer Center non si trovano ovunque…
C’è ormai l’indicazione europea a standardizzare i percorsi terapeutici. Regole e procedure europee sono codificate nei Cancer Center ma l’obiettivo è di contaminare anche gli ospedali “minori” della stessa pianificazione organizzativa che porti a condividere, in reti oncologiche strutturate, il trattamento dei pazienti in sinergia con i centri maggiori accreditati.
Forse il resto dovremmo farlo noi, visto che il 40% dei tumori è considerato prevenibile…
Certo, prima di tutto con le diagnosi precoci, e con l’adesione agli screening. Un “sì” può salvarci la vita. I fattori ambientali, poi, sono importanti proprio come i nostri stili di vita. Sappiamo che il sovrappeso e l’obesità si accompagnano ad una condizione iperinfiammatoria che rappresenta un terreno fertile per il cancro. Sappiamo pure che fumo (anche se molto limitato), e alcol sono cause scatenanti. A tali condizioni si contrappongono l’attività fisica e l’alimentazione sana. Cambiando questi stili di vita abbattiamo la percentuale di insorgenza della malattia. Sarebbe determinante parlarne già dalle scuole elementari.
Come vinceremo il cancro?
Credo che la speranza maggiore nasca dall’integrazione tra due ambiti: da una parte la conoscenza della genetica del cancro, della sua caratterizzazione molecolare, che ci sta portando a identificare target terapeutici nel singolo malato; dall’altra parte il potenziamento dell’immunoterapia, l’eccezionale strumento di controllo delle cellule cancerose da parte del nostro sistema immunitario. Due obiettivi tutt’altro che lontani.
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