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Il viaggio nella notte di Milano. Dove un clochard su sette, adesso, è donna

Paolo Lambruschi, Milano sabato 25 gennaio 2025

Da www.avvenire.it

In città ci sono 2.600 senzatetto e la povertà sta cambiando volto. La storia della ragazza che vive sul marciapiede dell’Università Statale e che nessuno riesce a identificare

Sono tanti gli insospettabili della strada a Milano, Italia. Donne, stranieri e molti italiani. Vestiti anche dignitosamente. C’è chi è abituato a questa vita, chi la fa provvisoriamente. Ma è difficile dagli indumenti identificare come homeless le persone che alle 21 srotolano le coperte sotto i portici della City milanese accanto a vetrine che espongono giubbotti e cappotti di marca a prezzi per turisti stranieri. Si mettono tutti in fila la sera in pieno centro a Milano, dietro il Duomo, per prendere un panino, del brodo caldo e un tè, un cambio di biancheria intima, il kit per l’igiene e un sacco a pelo dai volontari in camper delle unità di strada delle associazioni che, coordinate dal Comune, si alternano nell’altra metropoli, quella dell’emarginazione. Una sera di gennaio la giriamo seguendo le segnalazioni delle organizzazioni in rete e per le vie del centro con i volontari della ronda della Carità e della solidarietà, che da oltre 25 anni aiuta gli ultimi e che ha accettato di portarci per le strade milanesi.

Dove resistono pochi clochard anziani e con un passato misterioso, personaggi fissati nell’immaginario che vivono in un posto fisso, ad esempio vicino al Quadrilatero della Moda, e che da sobri amano discettare per ore di politica, letteratura ed economia con competenza. Perciò gli operatori distribuiscono con i generi di prima necessità anche libri. Ma nessuno vive così per scelta, la miseria non si sceglie e non è romantica. Anzi. Sfuggono ai servizi perché assommano problemi e patologie complesse. E rifiutano per ragioni di sicurezza o per paura di entrare nei dormitori. In questo rigido gennaio 2025 ci sono stati già 24 morti, secondo il contatore della Fiopsd, federazione italiana organismi persone senza dimora, tre solo a Milano che pure con il piano freddo attivo dal 2013 e con il coordinamento comunale manda in strada oltre 20 unità di associazioni con il camper in zone precise della città che battono palmo a palmo. Perché si muore in strada? Per incidenti, violenze o per malori causati magari dall’assunzione di alcol o sostanze oppure perchè si è sfuggiti alla rete dei volontari.

«Nel 2024 sono morte in strada 424 persone - afferma Michele Ferraris responsabile comunicazione della Fiopsd - e la tendenza di quest’anno è invariata. Si sta abbassando l’età media delle vittime, l’anno scorso il 17% aveva tra i 17 e i 29 anni e il 90% era straniero. Il 20% aveva tra 40 e 49 anni. Ma non c’è una stagionalità. Il 29% muore d’estate quando siamo in ferie e il 25% d’inverno». Anche nel capoluogo lombardo, come nel resto del Paese, il popolo degli ultimi è in veloce trasformazione. Ma con un colloquio informale gli operatori più esperti riescono a decodificare i segnali della caduta sul fondo. Le dipendenze, un passato in carcere, un trauma familiare, il disagio mentale, la disoccupazione. Ci sono tanti nuovi arrivi. Dall’osservatorio della strada milanese emergono i limiti di uno stato sociale in crisi e di politiche di accoglienza sempre più ristrette. Si incontrano e si misurano in questa gelida e piovosa notte milanese di gennaio sotto i portici all’angolo di piazza del Duomo.

«Quest’anno sui 500 posti di prima accoglienza notturna aperti per la stagione fredda - afferma l’assessore di Milano ai Servizi sociali Lamberto Bertolé - l’88% è occupato da nuovi ingressi. La maggioranza sono persone straniere irregolari che non trovano più spazio nei centri di accoglienza con le nuove regole del governo e vengono spinte verso il basso in condizioni di marginalità insieme ai poveri senza reddito di cittadinanza». Quanti sono gli homeless solo in una grande città come Milano? Secondo un censimento circa 2.600, ma molti sfuggono alla conta e sono borderline, ad esempio chi vive ospitato a casa di amici o in auto, gli irraggiungibili nelle aree dismesse. A ingrossare ulteriormente le fila ai servizi sono i “penultimi” che stanno in un alloggio popolare, ma non arrivano a fine mese. O mangiano oppure pagano le bollette e l’affitto perché sono disoccupati o hanno la “minima”. E camminando sul filo spesso precipitano. Sono soprattutto italiani.

Come Michele 58 anni, un diploma e un eloquio forbito. Disoccupato causa Covid, dice. «Da cinque anni mi arrangio con lavori saltuari, fino a un anno fa circa il reddito di cittadinanza mi aiutava, adesso devo aspettare di compiere 60 anni per accedere ai nuovi sussidi. Lavorare? Non trovo, troppo vecchio e non ho specializzazioni». «La scelta di distribuire i panini e coperte nelle strade - spiega Paolo La Marca, educatore della Ronda - ci consente di incontrare tutte le tipologie che vivono in strada sia temporaneamente che da molti anni. E di fare da tramite con le istituzioni». Alle associazioni come la Ronda, che ha anche un centro diurno di secondo livello per aiutare gli homeless a risalire, gli aiuti da distribuire arrivano dal Banco alimentare e dai privati.
E i 115 sandwich della serata vanno via in due ore.

Altro italiano in fila insospettabile per abbigliamento e favella è Massimo che non dimostra 40 anni. «Oggi non ho mangiato - dichiara -, soprattutto mi serve un sacco a pelo per dormire in una viuzza laterale più riparata e sicura. Ho fatto domanda in dormitorio, devo resistere qualche giorno. Lavoravo fino a tre mesi fa come salumiere in un supermercato. Poi il mio reparto ha chiuso e quando ho finito i soldi per l’affitto la padrona di casa mi ha buttato fuori. Quando vivi in strada non hai tempo per i colloqui, devi metterti in fila per mangiare, lavarti, cambiarti». Massimo ha già vissuto sulla strada qualche anno fa, prima di trovare un impiego e una casa. «Ma non ho mai visto tante donne homeless come in questi mesi».

Anche in fila ce ne sono diverse. Italiane e in coppia come la ragazza con il compagno, con un rottweiler al guinzaglio e un evidente stadio di ebbrezza alcolica. E una coppia di mezza età ospite di un dormitorio. Poi donne sole, straniere, soprattutto sudamericane. Alternano la strada a sistemazioni di fortuna, ospiti precarie e spesso sfruttate. Vicino all’università Statale, poco lontano dal Duomo, ogni tanto i volontari raccontano di aver incontrato una ragazza bellissima e misteriosa, probabilmente con problemi di salute mentali, che a sparisce e torna e con cui nessuno riesce a parlare. È lei il simbolo di un mondo di sofferenza dai contorni indefiniti e percepiti solo dai sensori del volontariato. «La novità è l’aumento delle donne homeless - conferma Alessandro Pezzoni, responsabile dell’area grave emarginazione di Caritas Ambrosiana -. Si stima che una persona su sette in strada sia donna, ma sono più difficili da rintracciare e più numerose di quanto si creda. Spesso vittime di violenze di genere, sfruttate e nascoste, perciò i servizi dedicati sono meno».

L’ultimo giro ci porta in un viale di palazzi signorili che termina a Porta Venezia. Lionel, un romeno di mezza età, dorme in una intercapedine da cui esce un filo di aria calda. È l’ultimo insospettabile. A Milano in cerca di lavoro da due mesi, ha fissato il primo colloquio a fine marzo, deve resistere. Chissà che quest’estate non lo si incontri in qualche pensione sulla riviera romagnola, dove da anni lavora regolarmente come aiuto euro a 1.700 euro mensili più vitto. Che non bastano più per scappare dalla strada.

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