S. Natale 2024
dic 22

L’arcivescovo Schevchuk: «Natale al buio e al gelo. No ai preti in armi»

Giacomo Gambassi, inviato a Kiev - a www.avvenire.it sabato 21 dicembre 2024

«Nelle trattative entri il dolore dell’Ucraina». Parla il capo della Chiesa greco-cattolica. «Grati a chi ci aiuta a fermare la guerra. Contrari a formule semplicistiche che non assicurino la pace»

I bambini affollano il piano terra della curia arcivescovile maggiore a Kiev. La Cattedrale della Risurrezione, che svetta sulla riva sinistra del fiume Dnepr, si scorge dalle finestre. Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, ha radunato centinaia di ragazzi per ricevere i regali e incontrare san Nicola che qui fa le veci di Babbo Natale. «La guerra ha tolto loro il sorriso. Almeno a Natale c’è bisogno di provare a farglielo ritrovare», racconta. L’arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc è “Sua Beatitudine”, come tutti lo chiamano. Consegna pacchi, dispensa abbracci, stringe mani. Eppure, spiega ad Avvenire, si annuncia una solennità della Natività «al buio e al gelo». Senza elettricità e senza riscaldamento per gli attacchi russi alle infrastrutture energetiche che si sono intensificati nelle ultime settimane. «Vivremo il Natale con le candele. E, mancando il calore materiale, lo sostituiremo con quello umano che sarà nel segno della condivisione delle sofferenze».

Ma questi sono i giorni delle voci di possibili trattative che sancirebbero anche l’occupazione russa di un quarto dei territori ucraini. «La nostra gente teme il congelamento della guerra perché sa che non è la soluzione», dice Shevchuk facendosi interprete di un sentimento diffuso. E il pensiero va alle famiglie toccate dal lutto ma anche dalla prigionia. «Non soltanto la nostra Chiesa accompagna i parenti dei caduti in guerra, dei dispersi, dei reclusi con una pastorale riadattata ai tempi di guerra in cui la dimensione religiosa si intreccia con quella psicologica, ma si fa promotrice di liberare i detenuti. Grazie alla nunziatura abbiamo già trasmesso alla Santa Sede più di 5mila nomi». Per affidarli al canale tenuto aperto fra Kiev e Mosca anche attraverso la diplomazia vaticana che, per volontà del Papa, viene alimentato dalla segreteria di Stato e dalla “missione di pace” del cardinale Matteo Zuppi. «Nella lista consegnata c’erano dieci sacerdoti: appena due, ed erano nostri religiosi greco-cattolici, sono stati rilasciati; gli altri otto rimangono in mano russa. Ogni giorno prego per loro. Non si tratta unicamente di preti cattolici: la maggioranza è costituita da protestanti».

Nell’agenda della vigilia è entrato anche l’arruolamento coatto di padre Vyacheslav Grynevych, direttore nazionale di Caritas-Spes, espressione della Chiesa cattolica di rito romano, che poi è stato fatto tornare a casa. L’invio dei sacerdoti al fronte, frutto della mobilitazione a tutto campo varata dalle autorità di Kiev, preoccupa le comunità ecclesiali dell’Ucraina. E la Santa Sede. «Ogni volta che vengo controllato nei check-point devo giustificarmi perché non sono nell’esercito - afferma l’arcivescovo maggiore -. Ai vertici dello Stato non chiediamo di avere privilegi, ma di comprendere che serviamo il popolo in un altro modo, non con le armi».

Terzo Natale di guerra. E oltre mille giorni di conflitto. Il Paese è esausto?

«Sarà un Natale difficile. Anzitutto perché manca l’elettricità. Ammiriamo il lavoro dei nostri tecnici che ripristinano la corrente dopo i raid di missili e droni che si abbattono metodicamente su città e villaggi, ma il sistema nazionale non regge più. Eppure in mezzo a tanto buio si staglierà con maggiore forza la luce di Cristo. E sarà esaltata dal nostro canto. Ricordo che nei tempi del comunismo gli inni natalizi erano anche una forma di protesta contro l’oppressione. Oggi lo sono contro ogni Erode del nostro tempo che fa della popolazione i bersagli delle proprie bombe: in Ucraina tre su quattro sono dirette contro obiettivi civili. Inoltre l’assenza di elettricità spegne i sistemi di riscaldamento. I grandi condomini, quando sono senza corrente, diventano fredde trappole per i residenti. Le nostre parrocchie hanno già predisposto punti di accoglienza per alleviare i disagi e far ritrovare la dignità alle persone».

Nei consessi internazionali si prospetta di fermare la guerra.

«È molto pericoloso scambiare un cessate il fuoco o una tregua per la pace. Infatti potrebbe diventare il momento per preparare un nuovo e più spietato attacco all’Ucraina. È vero che siamo stanchi e che bisogna dialogare. Ma pensiamo a un uomo che ha ferite profonde: se verrà curata soltanto la pelle, le ferite si infetteranno e ne risentirà tutto l’organismo. Per favore, non limitiamoci alla superficie di una realtà così atroce com’è quella dell’invasione dell’Ucraina. Soluzioni semplicistiche o facili sono percepite come un’offesa».

Quale lo stato d’animo se quattro regioni più la Crimea resteranno in mano russa?

«Tutti parlano dei territori; ma nessuno fa riferimento alle donne e agli uomini che li abitano. Poniamo che l’Ucraina non torni in possesso delle zone occupate: chi garantirà il diritto alla vita e all’incolumità della nostra gente intrappolata in queste aree? A Donetsk abbiamo la nostra Cattedrale che è stata svuotata. Nel giorno di Natale pregheremo per chi è rimasto lì: persone minacciate ogni giorno; depredate in casa dai soldati di Mosca; uccise senza avere alcuna colpa; arruolate a forza nell’esercito russo. Se, come i cristiani, ci limitiamo a guardare al negoziato sui territori, peccheremo nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che vivono in un contesto tragico».

Che cosa fare allora?

«Siamo profondamente riconoscenti a quanti si impegnano per far finire una guerra insensata. Ma nelle trattative l’Ucraina va coinvolta: la sua voce deve essere ascoltata. Non può essere degradata a oggetto di patteggiamenti fra potenti del mondo. Purtroppo i russi non considerano l’Ucraina come un interlocutore. Importante è stata l’iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron che nel quadro della riapertura della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi ha fatto incontrare per la prima volta il nostro presidente Zelensky con il neoeletto presidente americano Donald Trump. È simbolico che una chiesa rinata dalle sue macerie si faccia spazio di dialogo. Lo considero un messaggio che è necessario ancora decifrare».

Prigionieri di guerra e bambini “rubati” dalla Russia sono questioni molto sentite nel Paese.

«Sui detenuti vengono compiute torture sistematiche: ce lo hanno raccontato anche i nostri due sacerdoti liberati a giugno dopo un anno e mezzo di prigionia. Ma la fondatrice di una Ong in Francia mi ha riferito anche di torture sui ragazzi ricorrendo persino all’elettroshock. In taluni casi i prigionieri sono civili che Mosca usa come merce di scambio per riavere i suoi soldati, in quanto l’Ucraina non ha civili russi catturati. Ecco perché continuiamo a chiedere uno scambio “tutti per tutti”, come ha sollecitato anche papa Francesco a Pasqua».

La mobilitazione per far arrivare nuovi soldati in prima linea sta creando malumore. E include anche il clero.

«Nei giorni scorsi il direttore di Caritas-Spes è stato preso e spedito in un campo di addestramento. Poi qualcuno ha capito che sarebbe stato un errore privare del suo referente una significativa agenzia sociale e umanitaria. Esiste un dialogo continuo sul tema, ma va cercato un meccanismo giuridico per risolvere il problema».

Come l’Ucraina vivrà il Giubileo della speranza che sta per cominciare?

«La speranza è il segreto della sopravvivenza del nostro popolo in questi dieci anni di guerra. La Chiesa la sta annunciando. L’Anno Santo sarà quindi un tempo di particolare grazia. La speranza richiama la Risurrezione: l’Ucraina attende la risurrezione in mezzo al regno di morte che la assedia. Come greco-cattolici celebreremo il Sinodo a Roma dove ci sarà anche un pellegrinaggio della nostra Chiesa il 28 giugno. Per chi non sarà in grado di spostarsi, a cominciare dagli uomini che non possono lasciare il Paese, apriremo le porte giubilari domenica 29 dicembre. Comunque nel 2025 celebreremo anche i 1700 anni dal Concilio di Nicea dove era stato affrontato anche il rapporto fra Stato e Chiesa. Tema attualissimo se pensiamo al nostro aggressore che dichiara di condurre una “guerra santa”. Siamo grati a papa Francesco che nella recente lettera al nunzio a Mosca, che spero trasmetterà alle autorità russe, ha ribadito che non si può uccidere in nome di Dio».

Fa discutere la legge ucraina per arginare la locale Chiesa ortodossa che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca.

«In Ucraina tutti possono pregare liberamente: nessuna legge lo vieta o lo vieterà. Le nuove norme intendono proteggere la vita religiosa dalla militarizzazione operata dal Paese aggressore. Adesso le disposizioni approvate vanno applicate: ci auguriamo che operino per il bene collettivo».

© Riproduzione riservata

Pagelines | Design