La malattia misteriosa, il rischio epidemia, i morti. Cosa sappiamo finora
Vito Salinaro - da www.avvenire.it - domenica 8 dicembre 2024
Kinshasa ridimensiona l’allarme sullo sconosciuto patogeno: l’epidemia ha una mortalità dell’8% ma è esplosa in una zona che può essere tenuta sotto controllo. L’Italia ha comunque alzato l’allerta
Non c’è ancora nulla di certo sulla malattia che ha provocato decine di morti nelle ultime settimane in Congo e che ha allertato i sistemi sanitari di tutto il mondo. L’agente patogeno in questione è al momento sconosciuto in quanto non ancora isolato; si tratterebbe di un virus respiratorio con la caratteristica di provocare gravi anemie soprattutto tra ragazzi e bambini, con una mortalità stimata, nella zona di diffusione dell’8%. Stime e nulla più. Perché di vere e proprie diagnosi non ce ne sono. E dunque non si può accertare un preciso livello di pericolosità di questo microrganismo. Anche perché la zona interessata è tra le più povere del Paese, gli abitanti sono spesso denutriti, hanno sistemi immunitari compromessi, non sono seguiti da strutture sanitarie adeguate, e sono quindi esposti maggiormente alle conseguenze di patologie altrimenti trattabili.
Il governo congolese: la malattia è in area remota, è contenibile
Nelle ultime ore l’allarme sembra ridimensionarsi. Perché secondo il ministero della Sanità congolese l’epidemia dura da oltre 40 giorni ed i morti accertati nei presidi sanitari sono 27 su 382 contagiati. Altri 44 decessi sono stati registrati nei villaggi limitrofi, ma senza una verifica della diagnosi, per un totale di circa 70 morti in una vasta area. Una gran parte dei decessi si deve però alla totale mancanza di cure. La zona di Panzi, dove si è sviluppata la malattia, è estremamente remota e scarsamente popolata. La valutazione degli esperti al momento è che l’epidemia possa dunque essere contenuta. A Kenge, il capoluogo della regione interessata, si trova un piccolo aeroporto nazionale, ma l’accesso alla regione è complicato, specialmente nell’attuale stagione delle piogge. In questo periodo ci possono così volere 12-24 ore per raggiungere la regione di Kwango dalla Capitale. Non c’è una strada diretta tra Kenge e Panzi, che è molto più a sud e vicina al confine con l’Angola. La zona inoltre è interessata dal conflitto Yaka-Teke con le milizie “Mabondo” attive a nord di Kenge. Fino a giovedì sera le squadre del ministero della Sanità congolese, partiti dalla capitale Kinshasa con equipaggiamenti tecnici, non erano ancora giunte in loco.
I sintomi
I disturbi accusati dalle persone contagiate sono febbre, mal di testa, mal di gola, tosse e difficoltà respiratorie, tipici delle sindromi influenzali e parainfluenzali. Tuttavia, il quadro clinico in questo caso è particolarmente aggravato da una grave anemia. «L’anemia fa pensare alla polmonite da Mycoplasma, ma è troppo presto per fare una diagnosi definitiva finché non saranno riportate ulteriori analisi», dice Paul Hunter, docente di Medicina alla University of East Anglia (Regno Unito), che, come tutta la comunità medica scientifica internazionale, guarda a quanto avviene in Congo. Il Mycoplasma pneumoniae è un batterio responsabile di patologie che interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Le manifestazioni variano dalle lievi infezioni delle vie aeree superiori (raffreddore, faringite, ecc.) fino alle forme più severe di polmonite, spesso asintomatica, ma, quando le difese immunitarie sono ridotte, l’infezione può condurre a complicanze ematologiche e neurologiche gravi.
La reazione dell’Organizzazione mondiale della sanità
Una simile allerta ha interessato immediatamente gli uffici regionali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Un team di esperti sta consegnando alle autorità locali medicinali essenziali, kit diagnostici e per la raccolta dei campioni, con lo scopo di compiere analisi e determinare rapidamente la causa della malattia. Con i dirigenti del locale ministero della Salute, l’Oms sta raggiungendo le zone più colpite, attuando le prime misure di risposta, come l’attività di indagine epidemiologica e la raccolta di campioni per i test, la ricerca attiva dei casi, il trattamento e le attività di sensibilizzazione delle persone per la prevenzione e per identificare e segnalare ulteriori casi.
Gli esperti italiani sui rischi di contagio
L’Italia ha alzato il livello di attenzione sulla malattia investendo del problema le Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), che si occupano del controllo sanitario su passeggeri e merci, anche se non esistono voli diretti con il Paese africano. Al momento non c’è nessun allarme per il nostro Paese ma, in tempi di globalizzazione e di mobilità internazionale, la sorveglianza è stata innalzata. Il rischio di diffusione sarebbe comunque basso secondo l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della clinica Malattie infettive dell’Irccs Policlinico San Martino di Genova: «Sono stati centinaia i casi di questa malattia caratterizzata da febbre, mal di gola, tosse ma soprattutto anemia, mancanza di emoglobina nel sangue; quindi, la mancanza dell’ossigeno necessario ai tessuti. Una forma influenzale molto grave perché ha colpito soprattutto i più giovani e anche i bambini. Stiamo parlando di un’area del mondo dove ci sono numerosi problemi anche di nutrizione, che vuol dire avere un sistema immunitario che funziona meno», evidenzia Bassetti. Dalla sintomatologia sinora descritta, aggiunge l’infettivologo, «potrebbe trattarsi di una febbre emorragica. Sono delle forme virali come per esempio Ebola o la febbre emorragica di Congo-Crimea, cioè fondamentalmente infezioni che già sono note, magari sostenute da un nuovo virus che ci auguriamo venga presto identificato». Sulla paura del contagio, Bassetti dichiara che «nell’area interessata viene fatto un cordone sanitario dell’Oms. Si cerca di evitare che le persone escano e quindi possano portare il contagio in altre aree. Da questo punto di vista la situazione sembra sotto controllo».
A predicare cautela e ad evitare allarmi affrettati, anche Carlo Perno, responsabile della Microbiologia e diagnostica di immunologia, dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. In Congo e Camerun, afferma, con la presenza della foresta equatoriale ed una grandissima varietà di animali, si concentra la maggiore parte dei virus del pianeta. Un luogo quindi ideale per l’ormai noto salto di specie (spillover), il processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi nella specie umana. Perno rimarca che è difficile «sapere quante persone si sono davvero infettate. In quelle zone solo il 3-4% delle persone riesce ad accedere all’assistenza medica in ospedale. I casi quindi potrebbero essere molti di più (in passato è già avvenuto con l’Hiv) e se così fosse la percentuale di mortalità potrebbe essere molto più bassa rispetto a quella che ora conosciamo». L’ipotesi Mycoplasma? «Perchè no? Ma - osserva - a meno che non sia una nuova forma, queste si risolvono generalmente in modo benigno».
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