Tante direttive, difficile recepirle. L’euro-ingorgo di fine mandato
Luca Mazza - da www.avvenire.it - martedì 30 aprile 2024
Rider, case green, imballaggi, nuove norme per la qualità dell’aria. Le direttive europee approvate in via definitiva negli ultimi giorni sono talmente tante che si perde il conto
Si fa una gran fatica a tenere il conto delle direttive europee approvate in via definitiva negli ultimi giorni: rider, case green, imballaggi, nuove norme per la qualità dell’aria, due diligence per la sostenibilità delle aziende, diritto alla riparazione di beni e oggetti. Sicuramente ne abbiamo dimenticata qualcuna. E all’elenco vanno aggiunti anche gli atti legislativi che riguardano la sfera dei diritti umani, come quello sulla lotta alla violenza contro le donne. A poco più di un mese dalle elezioni che si svolgeranno in Europa dal 6 al 9 giugno, la scorsa settimana a Strasburgo si è tenuta l’ultima sessione plenaria del Parlamento. Come spesso accade quando si arriva al capolinea di una legislatura, abbiamo assistito anche stavolta (forse più di ogni altra) a una maratona di quattro giorni di votazioni su alcuni dei più disparati dossier discussi negli ultimi cinque anni a livello comunitario, a partire dalla riforma del Patto di stabilità e crescita. Analizzando soprattutto i provvedimenti di natura economica, ad accomunare i testi delle varie direttive sembrano esserci sostanziali debolezze e vaghezze di fondo che rischiano di renderne difficile il recepimento nei singoli Stati.
Del resto, va ricordato che le direttive non sono immediatamente applicabili negli ordinamenti giuridici interni (al contrario dei regolamenti) ma vincolano i Ventisette al raggiungimento di determinati scopi entro un certo limite temporale, lasciando piena libertà sulla scelta della forma e dei mezzi da utilizzare. Ecco, se le scadenze fissate sono eccessivamente lunghe e la flessibilità concessa ai Paesi molto ampia, il risultato è che la direttiva in questione finisca per diventare debole, aggirabile, per non dire superflua.
Prendiamo il caso della normativa sui rider. Nel testo iniziale erano presenti cinque criteri uguali per tutti i Paesi per presumere il rapporto di subordinazione e per far scattare, purché sussistessero almeno due parametri, l’obbligo di assumere il ciclofattorino. Nel rush finale delle contrattazioni, però, gli indicatori comuni sono magicamente spariti e si fa riferimento a leggi e contratti nazionali per stabilire se il lavoro autonomo sia fittizio o meno. In sostanza, il livello di tutele si è abbassato.
Un percorso simile è avvenuto sulle case green. Nella prima versione del provvedimento si prevedevano obblighi stringenti sugli edifici da efficientare e sull’armonizzazione delle classi energetiche. Alla fine, è stata approvata una normativa con scadenze allungate fino al 2050 e infarcita di deroghe, esenzioni e margini di manovra per gli Stati membri nell’elaborazione di piani nazionali per ridurre il consumo energetico del parco immobiliare. Un terzo caso riguarda la direttiva per migliorare la qualità dell’aria, che rientra nel grande disegno incompiuto del Green Deal, in cui si sarebbero dovuti stabilire limiti e obiettivi rigorosi. In realtà, per gli inquinanti con gravi ripercussioni sulla salute umana gli Stati hanno ottenuto di posticipare dal 2030 al 2040 il raggiungimento di standard meno impattanti rispetto agli attuali.
Ci fermiamo qui, anche se la lista delle direttive annacquate e con obiettivi fissati alle calende greche potrebbe continuare. È sempre lo stesso film: si parte da una proposta alta delle istituzioni europee che, nel corso dell’iter negoziale, viene smontata a colpi di veti incrociati e compromessi al ribasso.
La principale responsabilità di aver affossato queste direttive europee va attribuita ai singoli Paesi, incapaci di avere una visione comune e di ampio respiro anche sulle grandi questioni economiche, ambientali e sociali. I Ventisette e i vari partiti sembrano concentrati solo sugli interessi nazionali e, ancor di più in questa fase, sui calcoli elettorali. Un atteggiamento miope che stride con le sollecitazioni autorevoli lanciate nei giorni scorsi anche da due ex premier italiani come Draghi e Letta, incaricati di redigere due rapporti (uno sulla competitività e un altro sul mercato unico) per un’Europa da rilanciare attraverso una maggior coesione. Chissà quanti appelli e proclami per un’Ue da rigenerare ascolteremo dagli esponenti dei partiti nelle prossime settimane di campagna elettorale. L’eredità che ci lasciano queste direttive poco incisive non è incoraggiante. Alzare l’asticella delle ambizioni può sembrare un esercizio utopistico, ma è doveroso.
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