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Milano, bella e impossibile. Quale città vogliamo?

Giuseppe Matarazzo - da www.avvenire.it sabato 13 gennaio 2024

Costo della vita sempre più caro, mentre gli stipendi restano al palo. La città diventa solo per pochi. Maggioni (Ccl): trovare un equilibrio fra istanze di sviluppo e aspetti sociali imprescindibili

L’Atm fatica ormai da anni a trovare autisti, con avvisi che restano quasi deserti: ne mancano circa trecento, con un impatto sull’organizzazione dei servizi. A scuola, i presidi fanno i salti mortali, scorrendo le graduatorie, per completare ogni anno l’organico di docenti e segreterie. Sempre più difficile reclutare personale nel mondo della ristorazione e dei servizi. E se i poliziotti protestavano persino per le misure dell’Area B, medici specializzandi e infermieri preferiscono, potendo scegliere, di andare in altre realtà. Senza contare gli studenti fuorisede per i quali vivere a Milano sta diventando un lusso, come ha ampiamente dimostrato il recente movimento delle tende.

Anno nuovo, problemi vecchi. E per Milano, il problema con cui fare i conti è il carovita e l’emergenza casa: la città attrattiva, “a place to be”, che incassa il record di turisti e si muove al ritmo di eventi imperdibili, che diventa paradossalmente “inaccessibile” per chi la vive ogni giorno, per chi lavora contando su redditi normali, non solo bassi. Milano, bella e impossibile. Perché non basta avere un lavoro, per vivere a Milano, dove aumenta il gap fra i redditi e i costi della vita, mentre il potere d’acquisto delle famiglie si assottiglia. Da una parte c’è la città del business e che fa tendenza, dei manager milionari, e dall’altra la città dove il 57% dei contribuenti dichiara un reddito lordo inferiore a 26mila euro all’anno e il 34% sotto i 15mila euro. Con i prezzi medi delle abitazioni che, fra il 2015 e il 2021, sono cresciuti del 41% (gli affitti medi del 22%), mentre la retribuzione media di operai e impiegati è cresciuta rispettivamente appena del 3 e del 7%. Una relazione sbilanciata tra redditi, retribuzioni e costi di accesso alla casa (la prima voce di spesa per le famiglie) a Milano che misura l’Osservatorio Casa Abbordabile (Oca) promosso da Ccl (Consorzio Cooperative Lavoratori), Delta Ecopolis in partnership con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani DAStU) del Politecnico di Milano. «Nella città che vanta di essere la più attrattiva e di offrire il miglior mercato del lavoro in Italia, c’è chi un lavoro non ce l’ha, e chi, pur avendolo, non può permettersi una abitazione dignitosa», fa notare Alessandro Maggioni, presidente del Consorzio Cooperative Lavoratori. «Milano è diventata una città polarizzata tra due punte sempre più distanti: i vincenti e i soccombenti». Polarizzata fra idee e modelli diametralmente opposti. «Il prevalere di una logica ipermercatista, rispetto all’opposta iperdirigista, crea diseguaglianze e dissenso. La città - riprende Maggioni - non è e non può essere un hedge fund, un fondo speculativo. È chiaro che ci sono operatori e interessi diversi, ma è tempo di incominciare una riflessione sulla trasformazione della città che ponga il cittadino al centro e trovi un equilibrio fra istanze di sviluppo e istanze sociali e di equità imprescindibili».

Il Comune di Milano nei mesi scorsi ha approvato un piano triennale dei servizi abitativi e il documento per una “Nuova strategia per la casa”, introducendo misure sul fronte del canone concordato, gli studentati “diffusi” e sull’abitare accessibile in edilizia residenziale sociale. Aperto e non senza divergenze il dibattito sulla Revisione del piano territoriale di Milano, proprio fra i rappresentanti del mondo delle costruzioni che ruota attorno ad Assimpredil Ance e al tavolo “C’è Milano da fare” con associazioni e ordini della filiera della rigenerazione urbana e l’amministrazione. Da qui dovrebbero venir fuori delle proposte nelle prossime settimane sperando che si possa riaprire il dialogo fra tutte le istituzioni.

«Al di là delle visioni, diverse e legittime che ci possono essere, sono convinto - dice Maggioni - che una chiara ed equilibrata presa di posizione su una redistribuzione abitativa sia necessaria. È un discorso anche di democrazia. Se la città diventa la città dei ricchi e di un ceto medio impoverito che deve andare fuori non per scelta, può facilmente generare spinte reazionarie e rancori. Se ci sono fasce di lavoratori, penso agli infermieri, che si dedicano ai malati in ospedale e poi guadagnano 1.400 euro e questo non basta per vivere in città ma devono andare a 30 chilometri, c’è qualcosa che non va. Allora va bene la quota di edilizia libera, va bene l’edilizia protetta e il suo potenziamento, ma si deve lavorare a una terza via, quella della convenzione ordinaria che può permettere di fare impresa e stare nel mercato, ma senza fare speculazione, con l’introduzione di correttivi di equilibrio che permettono di costruire case a un prezzo abbordabile per il ceto medio».

I numeri che emergono dalla ricerca presentata nei mesi scorsi e coordinata da Massimo Bricocoli, professore di Politiche Urbane e Housing e direttore DAStU Politecnico di Milano, e dal ricercatore Marco Peverini - suonano indubbiamente come un preoccupante campanello d’allarme per il futuro della città. Il punto di svolta è stato il 2015, anno di Expo, con dinamiche urbanistiche, sociali ed economiche che sono andate a modificare l’assetto del capoluogo lombardo, con conseguenze sul lungo termine. Calcolando l’indice di metri quadri di abitazione teoricamente abbordabili, oggi un impiegato medio (con retribuzione media annua lorda di 29.219 euro) potrebbe permettersi 16 mq nei quartieri del centro storico, 23 mq in quelli semicentrali, e 40 mq nel resto della città. «La retribuzione offerte dal mercato del lavoro permettono di sostenere costi abitativi per un numero di metri quadri sostanzialmente inadeguato (irrealistico rispetto alle condizioni minime di dignità di un’abitazione oltre che all’effettiva disponibilità di tagli di alloggi presenti sul mercato) - si legge nelle considerazioni finali del rapporto -. Considerando che insieme i lavoratori con qualifiche di operai e impiegati rappresentano l’85% dei dipendenti del settore privato e il 61% del totale dei lavoratori milanesi, possiamo considerare questa forbice molto rilevante».

L’impressione finale è che «Milano si stia allontanando dall’essere una città per lavoratori. Affermazione che suona come paradossale per la città che vanta di essere la capitale economica del paese, la meta di coloro che ambiscono a una qualificazione di eccellenza, a una carriera professionale di rilievo o anche, più semplicemente, a un posto di lavoro. Paradossale in un Paese in cui la disoccupazione giovanile raggiunge in alcune regioni dimensioni allarmanti e per una città che da quei territori drena intensamente le migliori competenze e risorse giovanili. I dati restituiscono la realtà di una città in cui per molti, soprattutto per i nuovi arrivati e per i profili reddituali medio bassi, il reddito da lavoro non è più sufficiente a garantire una vita quanto meno dignitosa, non è garanzia di emancipazione, di vita autonoma e di una qualità della vita proporzionata alle energie spese. La condizione lavorativa non è più sufficiente per abitare la città. La proprietà immobiliare (di chi già ha oppure eredita) oppure l’aiuto finanziario (generalmente parentale) diventano condizioni quasi necessarie per poter abitare e, dunque, per poter lavorare qui».

Tornano le provocazioni che fece in occasione della festività di Sant’Ambrogio del 2022, l’arcivescovo, Mario Delpini, sulla città «inaccessibile»: «Dove troveranno casa le famiglie giovani, il futuro della città? Dove troveranno casa coloro che in città devono lavorare, studiare, invecchiare?». Domane sempre attuali. A cui dare risposta. Per i milanesi. E per Milano. Bella e impossibile.

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