Chiesa - Sinodo PAROLA DI VITA - Novembre 2023
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Perché con i Santi festeggiamo anche l’umiltà

Maurizio Patriciello - da www.avvenire.it martedì 31 ottobre 2023

Che cosa caratterizza la vita di un santo? L’umiltà. È questa, infatti, la virtù cardine sulla quale fioriranno più tutte le virtù

Un tempo forse anche noi li abbiamo ritenuti uomini e donne straordinari ma irraggiungibili. A volte, dall’alto della loro grandezza, ci hanno intimoriti; altre volte, invece, li abbiamo invocati per riceverne qualche beneficio. Ma restavano distanti, come le statue e i dipinti che li raffiguravano nelle nostre chiese. Belli, preziosi ma lontani. Fiori e lumicini deposti ai loro piedi come per riongraziarceli. Ci sono stati donati invece per essere imitati. I santi, i nostri santi, che hanno puntellato la storia di questi duemila anni che ci separano da Cristo, di ogni lingua, popolo e nazione. Di tutte le età, diversissimi tra loro.

Non sempre compresi dai contemporanei, a volte, addirittura, incredibilmente osteggiati; altre volte riconosciuti già in vita come autentici amici di Dio, gente di cui ci si può fidare. Che cosa hanno in comune l’apostolo Pietro e il beato Carlo Acutis? O un uomo dalla mente eccelsa, come Tommaso d’Aquino, con Francesco e Giacinta, i due ingenui pastorelli portoghesi del ventesimo secolo? L’amore a Cristo. Il santo è una persona in relazione. Una relazione che, lentamente, diventa esclusiva. Ma - attenzione - più si fa totale, tanto più apre e dona agli altri i frutti scaturiti da questo rapporto originale.

Che cosa caratterizza la vita di un santo? L’umiltà. È questa, infatti, la virtù cardine sulla quale fioriranno più tutte le virtù. L’umiltà ti rende libero, vero, leggero. La persona umile - anche se dovesse essere ricca e potente - sa bene di non essere padrone di niente, nemmeno dell’istante che segue quello che sta vivendo. E, accoglie, quindi, la vita come un dono. Un dono incredibile, immenso, unico, irripetibile dal quale sgorga, come rivolo dalla roccia, l’acqua pura e fresca della gratitudine. Vivere senza poter dire grazie è un tormento. Per tutti, credenti e non credenti.

Un tormento che il santo non conosce. Sarà questo sentimento che gli spalancherà le porte del magnifico mondo dello stupore. Il santo è come un bambino che scorrazza nella grande fattoria del nonno. Corre tra i sentieri, guarda i fiori, accarezza il capretto appena nato. E non smette di fare domande. E non cessa di rincorrere le lucertole e le farfalle.

Fino a quando, giunto a sera, sfinito per la stanchezza, si getta tra le braccia della mamma. E le racconta le scoperte fatte. E continua a chiedere spiegazioni. Insaziabile, non si accontenta mai. Una volta a letto, nel sonno, continua le sue scorribande. Nulla è suo. Tutto gli appartiene. Che mondo fantastico sta conoscendo. I contadini gli vogliono bene. Lui pensa di aiutarli, in realtà, intralcia non poco il loro lavoro. Ma essi stanno al gioco. La sua innocenza li rallegra. Il bambino scopre cose che loro, i contadini, indaffarati e stanchi, non riescono più a vedere. Si accorge dei piccoli insetti, controlla le uova nel nido degli uccellini. Niente è suo.

Di tutto sente di essere il padrone.

Signore, donaci di guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Ci accorgeremo, allora, dell’ immenso miracolo della vita. E impazziremo di dolore al solo pensiero di poter fare male a chicchessia. E faremo di tutto per riportare il sorriso sul volto di chi piange. E sentiremo il bisogno e la gioia di dialogare con i fratelli, di metterci in ascolto della loro storie. E, a nostra volta, chiameremo a raccolta i ricordi che ci legano all’infanzia per farne parte a chi si aggiunge al nostro cammino. E diventeremo amici, dando e chiedendo aiuto quando i giorni si fanno pesanti.

L’umiltà. In questo giorno dedicato ai nostri fratelli e sorelle che ci guardano dall’alto, invochiamo il dono indispensabile dell’umiltà. Pur non possedendo niente diventeremo i padroni di tutto. Il pensiero che Dio ci ama, oggi, ci fa impazzire. La certezza che, come noi, ama il creato e ogni creatura, ci spinge ad amarli e a servirli a nostra volta. Senza aspettarci ricompensa alcuna. Tanto grande è, infatti, il dono ricevuto che l’eternità non basterà per comprenderlo e gustare appieno.

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