La vita è pace e mai scarto
Giuseppe Anzani - da www.avvenire.it sabato 4 febbraio 2023
Oggi, 5 gennaio 2923, è la Giornata per la Vita. Ma la vita non è forse la più ordinaria delle realtà, che sta fuor d’attenzione, come il respiro, come il battito del cuore? Perché dunque un giorno speciale? Serve a uscire dal dormiveglia, forse; a pensare, a guardarsi attorno, persino a interrogare per una volta le stelle dentro lo stupore d’aver perduto il conto dei miliardi di soli dei miliardi di galassie dove nuota il granello che chiamiamo Terra e teniamo per nostro. Perché dove giunge lo sguardo del più potente Webb Telescope terrestre c’è l’infinito disegno dei mondi nel suo freddo splendore di materia e silenzio. Poi lo stupore di avvertire in noi un pensiero cosciente, un saper di sapere, una libertà di volere, un essere ascolto e parola, un desiderio d’amore. L’altro misterioso prodigio, la stupenda anomalia che è la vita.
Un miracolo, la vita. Un filo d’erba, un seme da nulla che si fa albero grande, una cellula animata che in infinite composizioni struttura microrganismi o cattedrali biologiche quali i corpi degli umani. Siamo parte di questa biosfera, creature anche noi d’un comune universo di variegata bellezza.
Ma insieme sentiamo dentro di noi uno spirito che trascende la materia, e resta per la biologia l’infinitamente incomprensibile, ed è la «più vasta orma» stampata dallo Spirito Creatore negli esseri umani.
Preziosa e fragile la vita, esposta com’è alla morte. Non dico la morte come evento che ne segna il compimento, nel tempo dato a ciascuno; dico la morte inventata, dico i mezzi di morte, le scelte di morte, la cultura della morte. L’abbiamo sott’occhio, nei giorni di guerra e di massacro che la memoria dei passati olocausti non riesce a scongiurare; nei giorni della fame e dello stento che stermina popoli in un mondo che altrove spreca alimenti per più di un miliardo di tonnellate (Earth Org); nei giorni di fuga e di scampo da orrori di guerra o di fame verso altri orrori di detenzione e tortura e naufragi e muri spinati, e cuori chiusi; nei giorni dell’abbandono dei fragili, dei vecchi, dei malati, dei disabili, dei poveri della terra; nei giorni in cui l’aborto nel mondo continua a consumare il ricorrente sacrificio di milioni di vite tratte a morte dal grembo, e da taluno vuol chiamarsi “diritto”.
E il catalogo della vita uccisa potrebbe estendersi agli episodi di quotidiane cronache minute di violenza e di sangue, con narrazione abituale. O persino dilatarsi in modo concettuale, per come si può intristire, far grama la vita, “far morire dentro” un essere umano non solo con l’aggressione, l’emarginazione e il disprezzo, ma con l’indifferenza e l’abbandono: con la “carestia di amore”.
E dire che gli uomini sanno cos’è il dolore della vita offesa, e l’hanno scritto in infinite leggi. L’hanno copiato dal “Non uccidere” delle Tavole e declinato nella dignità e inviolabilità della vita, quale diritto supremo; e poi immerso nella libertà, presidiato dall’uguaglianza, condito di fraternità. Eppure, un’etica utilitaria ha fatto del tornaconto individuale la molla della vita, e gettati gli intralci nello scarto. E se la filosofia dell’avere sporca il senso dell’essere, e l’uguaglianza cede a competizione e la fraternità si rinnega, allora quei proclami sono l’ultima ipocrisia.
La giornata per la vita può essere un risveglio che scrolla il torpore; per un giorno almeno viviamo da vivi. Affiliamo lo sguardo su ciò che ci fa morti già in vita, che ci inquadra obbedienti nelle schiere della morte, pieni di “giuste ragioni”. Penso oggi in primis alle ragioni di guerra, quelle che ci fanno “giusti” nemici dei nostri “ingiusti” nemici, con reciproco pensiero. Certamente c’è differenza fra l’aggressore e l’aggredito.
Ma il modo di fare la guerra, in attacco, in difesa, in contrattacco, in occupazione, in liberazione è sempre quello di uccidere. E non il Nemico, badate, ma i ragazzi ventenni inimicati a forza nell’imbuto della morte data e patita per decisioni di re e presidenti. È dagli albori del mondo che gli uomini si fanno la guerra. La Storia ne attesta regolarmente la follia, ma dopo: la attesta a quelli che ne piangono ancor dopo cent’anni, ma non risuscita gli uccisi. Quel che accade in Ucraina, quel che accade nel resto del Mondo (169 conflitti di diversa intensità e stessa tragica logica, una terza guerra mondiale ormai non più a pezzi, avverte papa Francesco) non possiamo lasciare ai nostri nipoti di chiamare follia, gridiamolo noi subito, com’è.
La vita è pace. Ma appunto non c’è pace senza rispetto della vita, senza amore alla vita. Il messaggio che i vescovi italiani hanno scritto per la Giornata per la Vita percorre alla luce della ragione e della fede i pensieri sapienziali che respingono le soluzioni di morte. Leggetelo oggi, nelle pagine speciali che su aggiungono a queste pagine, leggetelo per intero. Senza pregiudizi, senza precomprensioni. Fa pensare. E fa sperare.
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