da www.avvenire.it 14 dicembre 2922
IL BENE COMUNE DA PRESERVARE
DANILO PAOLINI
Ma quali Stati Uniti d’Europa. Quale solidarietà, sussidiarietà, economia sociale di mercato.
Quale affermazione dei diritti umani, quale tutela dello stato di diritto. Eccoci di nuovo qui a dubitare, noi europeisti convinti che ci sentiamo cittadini in Italia come a Parigi o a Berlino, a Madrid come ad Amsterdam.
Eccoci di fronte alla terribile tentazione di dare degli utopisti a Spinelli, a Rossi, a Colorni. Di pensare che in fondo De Gasperi, Schuman e Adenauer fossero poco più che dei visionari. E però - ce lo ripetiamo per non cedere allo sconforto - quell’utopia, quella visione, hanno dato all’Europa unita una stabilità che non aveva mai conosciuto e, con essa, un lungo periodo di pace, ora minacciata proprio ai confini dell’odierna Unione dalla sciagurata guerra d’Ucraina scatenata in quest’ultima e tragica fase dall’autocrate Putin. Altri autocrati, ad altre latitudini, avrebbero invece dato origine a suon di quattrini alla valanga che rischia di travolgere nella vergogna tutto ciò che in oltre 70 anni di cammino l’Europa unita ha costruito nella vita di intere generazioni, inclusa la più giovane. Europei di nascita, sono ragazze e ragazzi che non hanno mai conosciuto monete diverse dall’euro e sono abituati a circolare da un Paese all’altro senza restrizioni. Tutti, loro e chi prima di loro ha creduto nella patria comune europea, messi a dura prova dalle notizie che giungono da Bruxelles e che, purtroppo, investono in buona parte degli italiani.
Il principio di non colpevolezza è sacro, sancito dalla stessa Ue e recepito dagli ordinamenti degli Stati membri. Ma certo da questa vicenda, seppure protetta dal riserbo degli inquirenti belgi, sono già emerse evidenze che non possono essere ignorate, a cominciare dai sacchi gonfi di contanti, dai soldi sequestrati nelle abitazioni private, dalle prese di distanza di chi parla apertamente di «uno schifo».
Impossibile non farsi prendere almeno un po’ dallo sconforto, soprattutto a causa della spiacevole ma persistente sensazione che sia solo l’inizio di qualcosa di gigantesco e di molto maleodorante. A noi, in effetti, le cronache degli ultimi giorni potrebbero facilmente riportare alla mente quelle dei primi anni Novanta: l’esplosione di Mani Pulite, la fine di un’epoca. Per il momento l’Eurotangentopoli ha coinvolto pesantemente il gruppo dei Socialisti e Democratici, ma fanno bene tutti gli altri (euroscettici compresi) a non attaccare, proprio perché il peggio potrebbe ancora arrivare. Speriamo di no, speriamo si tratti al massimo di pochi, isolati e deprecabili episodi. Anche perché, per riprendere il parallelo con la storia nazionale, Tangentopoli rase al suolo le “case”, i partiti, di quasi tutte le principali culture politiche e sono trent’anni che il sistema politico italiano non trova pace e, di fatto, non riesce a rimettere insieme i frantumi di quella deflagrazione.
È per questo che non bisogna ripetere, ora, l’errore che si fece allora: la pulizia deve essere fatta prima di tutto dall’interno, dalle istituzioni europee, senza timidezze, con rapidità e inflessibilità. Neanche per un momento si può dare spazio all’idea che i Palazzi di Bruxelles e di Strasburgo si siano trasformati in sedi di consorterie dalle porte girevoli, dove chi esce al termine del proprio mandato vi rientra da faccendiere al soldo di interessi non sempre trasparenti. Altrimenti, il contraccolpo potrebbe risultare devastante, roba da far impallidire la crisi del debito sovrano del 2010-2011, in termini di credibilità e di autorevolezza. Crisi sventata dall’allora presidente della Bce Mario Draghi e poi sbiadita, nell’immaginario collettivo, nel buio pesto della pandemia da Covid, quando con il
Recovery Plan l’Ue ha saputo ritrovare le ragioni di solidarietà che le hanno dato origine. Ora serve un altro scatto di reni, perché il pericolo è di natura diversa ma altrettanto grande. Non si deve rischiare che l’Europa unita, capace di reagire agli attentati terroristici dei nemici della democrazia e della libertà, di sopravvivere alle speculazioni degli squali della finanza, cada vittima del più moderno dei cavalli di Troia: il vil denaro.
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