Il rovinoso tradimento del Gigante (Quanto siamo piccoli e folli, noi)
Marina Corradi - da www.avvenire.it 4 luglio 2022
Domenica sulle Dolomiti il cielo era di un blu estremo, come accade in genere nel culmine dell’estate. Quando si sale qui dalla pianura torrida, si attende l’istante in cui scendi dall’auto, e un alito di aria fresca ti ravviva. Ma domenica, niente: in Val Badia, alle diciassette, trenta gradi. Il solito albergo, ma non sorride, il padrone: «Sulla Marmolada è venuta giù una montagna di ghiaccio».
Un grosso buco azzurro, come una cannonata sulla pelle rugosa, ora bianca ora grigia, del pachiderma che è il ghiacciaio. Una scossa sismica al cuore.
La Marmolada, la più alta, la Regina. Fin da bambina la grande gita dell’estate era il Viel dal Pan, un sentiero che sale dal passo Pordoi e poi, dolcemente ondeggiando fra i pascoli, scorre, basso, di fronte al ghiacciaio. È un sentiero che possono fare i bambini, e sembra davvero l’Eden. Viola, indaco, genziana, giallo ardente i fiori, e tu pensi: incredibile, come per mesi i semi covati dalla neve esplodano in questo arcobaleno.
Ma, se alzi gli occhi, la maestà della Marmolada ti zittisce.
«Lì il ghiaccio non si scioglie mai - mi spiegava mia madre - e anzi, sotto il manto, è antichissimo, vecchio di secoli». Dunque c’era la pioggia di secoli fa rappresa lassù, prigioniera? mi chiedevo. E la Marmolada mi intimoriva, come un luogo in cui il tempo si ferma.
Ma, cresciuta, che gioia è stata portare i bambini sul Viel dal Pan, uno che già camminava, uno sulle spalle del padre, la piccola con me. Quante foto abbiamo con loro con, dietro, lei, la Marmolada. Era il culmine dell’estate, la gita al Viel dal Pan. E ora quel dinosauro di roccia e ghiaccio non mi faceva più paura. Ero contenta, anzi, che le montagne rimanessero uguali per sempre, mentre il nostro tempo è così breve. Ero felice che quell’Eden fosse intatto, che qualcosa almeno non cambiasse mai.
Solo anni dopo cominciai a sentire dire dell’impoverimento del ghiacciaio. Ma il panorama dal Viel dal Pan, a luglio, mi pareva uguale. Mi turbò molto invece, nel 2004, il crollo di una delle Cinque Torri, sopra Cortina. Una notte di giugno la Trephor, alta 35 metri, una principessa, incredibilmente si spezzò, e precipitò verso valle. Non c’era nessuno, nessuno morì, e la cosa non fece tanto scalpore. In me sì, però. E oggi, sotto a un cielo blu zafiro, quel cratere nella pelle della Marmolada, come un cancro covato in silenzio. Sette morti, e forse venti altri, che gli elicotteri gialli che ronzano sul ghiacciaio come api non riescono a individuare. Acqua e detriti precipitati a valle a 300 all’ora, che ne è di quegli alpinisti che salivano nel sole? C’è sul web la foto di Filippo. Pochi minuti prima del distacco ride felice: è in cima alla Regina, è in cima al mondo, ha 27 anni, e, a casa, un bambino appena nato. Non lo trovano. E, gli altri, i passeggeri delle sedici macchine al parcheggio, che domenica sera nessuno ha ritirato?
Questo crollo per me è un altro confine ceduto. L’epidemia prima, poi la guerra, incredibile, in Europa. E ora, anche la Regina ha tradito. Il riscaldamento climatico, certo, lo vediamo. Mi chiedo però se simili fluttuazioni non siano già avvenute, in milioni di anni, quando non c’era nessuno a testimoniarle. Ci avvertono che dipendono dalla dissennatezza dell’uomo, ma io mi domando se non siamo, piccoli, dentro un universo di tanto più immenso di noi.
Poi, certo, è giusto e oggi più che mai necessario: amiamola e rispettiamola questa Terra di cui ci siamo creduti padroni, e che ci era invece stata affidata. Questa Terra e le sue creature, che abbiamo trattato come cose da nulla. Il rombo cupo di quel ghiaccio che, magari dopo mille anni, si è staccato dal suo nido buio, porta in sé questo eco. Troppi diversi confini ci stanno cadendo attorno.
Questo crollo non è in fondo un altro tremito nelle nostre serene certezze? Noi, cresciuti quando sembrava che la pace in Occidente fosse garantita, che la salute fosse un diritto assoluto. E che le montagne lassù, petrose antenate, benigne e identiche ci avrebbero, per sempre, guardato passare.
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