Perché il Terzo Settore deve imparare a mediare
Giulia Galera* e Monika Weissensteiner** da www.avvenire.ir mercoledì 29 giugno 2022
Il ruolo di facilitatori è sempre più necessario davanti a sfide come clima, crisi e migrazioni
Quando la società civile si auto-organizza per gestire beni comuni o affrontare nuove sfide ha il potere di innescare profonde trasformazioni sociali. Questo perché l’identificazione con gli altri in nome di un obiettivo comune spinge le persone ad andare al di là delle proprie aspirazioni individuali e rafforza i legami tra i/le partecipanti. La forza dell’azione collettiva risiede nei valori condivisi che affondano le radici nel tessuto sociale di un determinato territorio e sono talvolta proiettati verso la costruzione di una società diversa. Gli esempi di come questo patrimonio valoriale e relazionale abbia permesso a gruppi sociali e comunità di sopravvivere e rigenerarsi nel corso della storia, affermando il riconoscimento di diritti fondamentali precedentemente negati, sono innumerevoli. Nel nostro Paese, la propensione della comunità ad auto-organizzarsi per perseguire l’interesse di gruppi svantaggiati o della comunità è testimoniata da una lunga e ricca tradizione associativa e cooperativa, sfociata nello sviluppo di imprese sociali che hanno garantito la realizzazione di molte attività e servizi diversamente non accessibili e si è evoluta nel corso dei secoli, migliorando la capacità delle comunità di adattarsi a cambiamenti drammatici, innescati da crisi economiche, sanitarie e calamità di vario genere. La storia ci ricorda tuttavia anche come l’azione collettiva possa essere ‘utilizzata’ con obiettivi ed esiti profondamente diversi all’interno di uno stesso territorio. E la distanza tra obiettivi tende inevitabilmente ad aumentare man mano che ci spostiamo da società relativamente omogenee, dove è sovente l’intera comunità ad auto-organizzarsi per perseguire il medesimo obiettivo di natura sociale o economica, a contesti maggiormente eterogenei, ad esempio da un punto di vista etnico-linguistico.
Ebbene, essendo le organizzazioni di Terzo settore espressione della comunità in cui risiedono, esse possono a seconda dei casi contribuire a rafforzare la coesione sociale, ovvero farsi portatrici di più marcate divisioni sociali. Diventano ‘costruttrici di ponti’ quando gestiscono spazi e servizi rivolti a tutta la comunità attraverso processi inclusivi che, accompagnando i propri membri verso soluzioni consensuali, riescono ad approssimare l’interesse generale in un’ottica universalista; viceversa, quando sono costituite su basi identitarie o etniche, le organizzazioni di Terzo settore possono contribuiponendo re ad esasperare le lacerazioni esistenti. La capacità del Terzo settore di innescare processi trasformativi, favorendo l’interazione tra gruppi distanti per ragioni etniche o linguistiche, è stata molto spesso sottovalutata dalle politiche nazionali e internazionali. Politiche di sostegno e in particolar modo donatori internazionali hanno non di rado elargito contributi anteuando nei processi selettivi criteri quali la capacità di generare innovazione o le affinità ideologiche, non curandosi della capacità delle organizzazioni beneficiarie di traghettare le comunità verso un modello di società autenticamente inclusivo.
Non considerando le potenzialità e i limiti del Terzo settore, hanno così contribuito ad acuire divisioni in seno a comunità già contraddistinte da conflitti di varia natura. Ciò detto, se è fondamentale che le politiche di sostegno e i donatori internazionali comprendano appieno le caratteristiche delle organizzazioni di Terzo settore, è parimenti importante che queste ultime si attrezzino per imparare a prevenire e gestire i conflitti. In un mondo destinato a diventare sempre più piccolo e complesso, dovranno imparare a farlo non solo per ricomporre comunità disgregate da conflitti bellici, ma anche per affrontare sfide come il cambiamento climatico, la crisi economica e l’accoglienza di migranti, costruendo al contempo comunità più coese e solidali. Per promuovere una cultura della convivenza servono in sostanza elevate capacità di mediazione, oggi per lo più assenti nelle istituzioni pubbliche e nelle organizzazioni della società civile. Di qui l’importanza di formare figure professionali che aiutino le comunità a governare la complessità e le accompagnino verso la costruzione di istituzioni inclusive, in grado di interagire tra loro in un’ottica collaborativa, oltre a diffondere queste competenze nella società civile. Mediatori e mediatrici dei conflitti potrebbero sia intervenire nelle situazioni di crisi di convivenza per favorire il dialogo, sia facilitare l’intervento delle istituzioni pubbliche e del Terzo settore in ambiti soggetti a polarizzazioni sociali.
Un’intera sessione del Festival della Fondazione Langer Euromediterranea, intitolato ‘Legami - Beziehungen’, sarà dedicata quest’anno al tema ‘Facilitatori di Paci e Mediazione di conflitti’. Il Festival, che si terrà a Bolzano dal 1 al 2 luglio 2022, vedrà la partecipazione di alcuni destinatari/ e del premio internazionale Alexander Langer, distintisi/esi per il loro impegno a favore della pace, libertà, giustizia, salvaguardia dei diritti umani e dell’ambiente. Tra questi: Vjosa Dobruna, Premio Alexander Langer 2000, Natasa Kandic, Premio Alexander Langer 2000, Adopt Srebrenica, Premio Alexander Langer 2015.
* Euricse e Fondazione Langer ** Fondazione Langer
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