Prendono il reddito di cittadinanza ma lavorano in nero: ecco come i furbetti del sussidio ingannano lo Stato
di Antonio Crispino - www.corriere.it del 16/10/2020
Buongiorno, la chiamo dal Centro dell’impiego in quanto lei risulta percettore del reddito di cittadinanza. Attualmente ha trovato già un impiego? «No, come faccio a lavorare se percepisco il reddito di cittadinanza?» risponde in un italiano lento e premeditato Mario, nome di fantasia, dall’altro lato del telefono.
Mario ha 63 anni, ufficialmente disoccupato e vive a Grumo Nevano, in provincia di Napoli. Da sei mesi percepisce l’aiuto (dello Stato) «per formare e trovare lavoro». Il suo accredito mensile è di 800 euro. Ecco perché, nel fingerci impiegati del centro dell’impiego di Napoli, gli offriamo un lavoro come operatore ecologico alle stesse cifre.
Dopo di lui proviamo con altri percettori del reddito. Non persone a caso ma cittadini che ufficialmente risultano disoccupati e che in realtà lavorano in nero raggiungendo, a loro modo, l’obiettivo dichiarato dal Governo: «integrare il reddito della tua famiglia in un momento di difficoltà».
Sarà per questo che tutti rifiutano la nostra proposta, con scuse a volte grottesche. «Ma le pare che io a 56 anni vado a fare lo spazzino? Ma stiamo scherzando? Richiamatemi quando avrete un’offerta migliore» - si inalbera Vito, gli anni li dichiara lui stesso, disoccupato di lungo corso. Anzi, disoccupati, visto che la moglie e i figli gli fanno compagnia a casa e vivono con i mille euro al mese che gli garantisce il reddito di cittadinanza. Peccato, però, che quando risponde al telefono i rumori ambientali siano quelli tipici di un cantiere edile, dove tra l’altro lo ritroveremo qualche giorno dopo.
«Il posto di lavoro è troppo lontano da casa mia, non si può avere più vicino?» Poco importa se la sede proposta è ad appena 7 km. «800 euro al mese? - commenta sbalordito Umberto, che di euro del reddito di cittadinanza ne percepisce 643 al mese -. E con questo stipendio ce la faccio ad andare avanti al giorno d’oggi?». E ha ragione, perché 800 euro al mese sono pochi rispetto a quelli che guadagna lui. Infatti allo stipendio statale aggiunge quello come operaio in un opificio che fabbrica scarpe, questo sì sotto casa sua.
Grumo Nevano, così come tutto l’hinterland napoletano, è pieno di opifici che non insistono in un’area industriale ma in appartamenti, sottoscala o sottotetti di «normali» condomini. Hanno il vantaggio di non dare nell’occhio, sono difficili da individuare e quello che succede lì dentro lo sa solo l’arma dei carabinieri ogni qual volta riesce ad accedere senza essere segnalata dalle vedette o dalle telecamere di sorveglianza.
Dove andiamo noi ce ne sono quattro, installate negli angoli di quella che dall’esterno sembra una villetta a tre piani ma che invece ospita almeno una quindicina di operai. Si fabbricano scarpe per marchi importanti dell’alta moda. Andiamo lì perché i nostri Mario, Umberto, Vito… «integrano il loro reddito» lavorando tutti in quest’azienda.
Quando entriamo seguendo un controllo dei carabinieri della Compagnia di Giugliano, troviamo il vuoto. Solo due operai a lavoro su quindici postazioni. Sono scappati tutti, è evidente dai macchinari ancora in funzione. Qualcuno ha lasciato cellulare, occhiali e pacchetto di sigarette davanti a una spazzola che gira, di quelle che lucidano le pelli. Un carabiniere lo sblocca, fa partire una chiamata sul sul cellulare e poi registra il numero su whatsapp che lo associa al voto di Vito.
«Dov’è? E soprattutto da dove è uscito» chiede il maresciallo Michele Marotta del Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri. Nessuno sa niente. Uno dei carabinieri, Luigi, è del posto, conosce bene usi e costumi. Non si fa ingannare dal piagnisteo dei proprietari che «giurano sui figli» di non avere operai in nero, tantomeno percettori del reddito di cittadinanza.
Nota una porta che affaccia su un cavedio interno e una rampa di scale che conduce ai piani superiori. Intercetta in lontananza il calpestio rapido di qualcuno che sale, si sporge e nota qualcuno entrare in una porta. Seguirli significa trovare due operai nascosti in un armadio di una piccola stanza da letto e uno maldestramente camuffato sotto un piumone dietro la porta.
Ed eccoli i nostri percettori del reddito di cittadinanza, uno dei quali lo avevamo contattato il giorno prima, quello che non poteva andare a lavorare perché non aveva i mezzi di trasporto. Gli altri li ritroviamo chi in un cantiere edile, chi in una fabbrica di confezioni, chi in caserma perché ha l’obbligo di firma per alcuni reati legati allo spaccio e, ammette limpidamente, «lavora da casa», perché da queste parti conoscono già da tempo lo smart working in nero.
Non l’unico. Un altro suo collega risulta avere precedenti per spaccio di stupefacenti, esercizio abusivo del gioco d’azzardo e furto aggravato. Prende 600 euro al mese di reddito. «Il paradosso è che verranno tutti perseguiti per illeciti amministrativi. Il reato penale si configura solo nel caso in cui non comunichino variazioni del reddito oltre i trenta giorni» spiegano i carabinieri.
Infatti, tutti, in fase di verbale, dichiarano di essere lì a lavorare solo da una settimana. Conoscono bene la normativa. Se la caveranno senza conseguenze. Anzi, per il loro datore di lavoro c’è l’obbligo di assunzione. Denunce penali per chi lavora in nero pur percependo il sussidio si contano sulle dita di una mano. E’ pressoché impossibile risalire alla vera data di inizio lavoro visto che sono lavoratori in nero. E i soldi percepiti fino a ora? «Il problema è che i controlli sono successivi e quando si scoprono i cosiddetti “furbetti” ormai è troppo tardi. Leggevo in un comunicato stampa della Guardia di Finanza: “Scoperti percettori del reddito di cittadinanza per un totale di 200mila euro” Ecco, credo che non si riusciranno a recuperare nemmeno 200 euro di quei soldi. Sono soldi persi». Lo dice Catello Maresca, magistrato che catturò il boss dei Casalesi Michele Zagaria e grande esperto di reati economici.
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